venerdì 12 luglio 2019
La Corte d'assise: "Questa persona non è il Generale". Condannato per favoreggiamento. Era in custodia cautelare dal 2016
Un momento del processo (Foto Ansa)

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Lo scambio di persona c’è stato, lo dice una sentenza della Corte d’assise di Palermo. Non è stato processato il "generale", il capo di una delle maggiori organizzazioni internazionali che gestiscono il traffico di migranti, ma un falegname di 32 anni eritreo. Per Alfredo Montalto, il giudice del processo sulla trattativa Stato-mafia, l’imputato, arrestato in Sudan ed estradato nel maggio 2016 in Italia, non è Mered Medhanie Yedhego, crocifisso al collo, ritenuto il potente boss del business criminale sulle coste della Libia. Si tratta invece di Medhanie Tesfamariam Behre, nato ad Asmara il 12 maggio 1987, che ieri è stato condannato a cinque anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per aver mandato i soldi dei cugini a un trafficante per il loro viaggio. E il giudice, visto che la misura cautelare prevista per questo reato può avere una durata massima di tre anni, ne ha disposto l’immediata scarcerazione.

Il duro braccio di ferro tra la Procura di Palermo e difesa, durato tre anni, combattuto a suon di testimoni, perizie telefoniche e calligrafiche, esami di Dna, inchieste giornalistiche, si è concluso nel primo pomeriggio di ieri nell’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo.

La tesi dello scambio di persona è stata semmpre sostenuta in tutto il processo dal difensore dell’imputato, Michele Calantropo, che ha chiesto anche l’esame del Dna. La seconda sezione della Corte d’assise l’ha accolta, facendo cadere l’accusa principale, quella di associazione per delinquere finalizzata al traffico dei migranti contestata al "generale". L’accusa, sostenuta in aula dai pm Geri Ferrara e Claudio Camilleri, aveva chiesto la condanna dell’imputato a 14 anni.

Le immagini del suo arresto fecero il giro del mondo. Ma dopo alcune ore, attraverso i social, arrivarono numerose le testimonianze da tutta Europa di coloro che avevano pagato al "generale" i viaggi verso l’Europa, ma che non riconoscevano nell’uomo appena estradato il loro "traghettatore".
Fu la National Crime Agency britanica a dare agli italiani l’informazione che il ricercato si trovava a Khartoum.

Gli inquirenti sudanesi e inglesi accertarono che aveva in uso più utenze cellulari una delle quali, intercettata dai magistrati palermitani, risultò collegata ad alcuni trafficanti di uomini che vivevano in Libia. Secondo la Procura di Palermo, l’analisi delle telefonate avrebbe confermato i sospetti degli investigatori. The Guardian comincia a supportare con un’inchiesta la tesi dello scambio di persona, ne viene fuori anche un libro. L’imputato continua a proclamarsi innocente, dice di essere stato picchiato dai poliziotti sudanesi. Le indagini difensive fanno emergere che il Dna del falegname è uguale a quello della donna che dice di essere sua madre, mentre non è compatibile con il profilo genetico del cosiddetto "generale".

Alla notizia della sua imminente scarcerazione, Behre è scoppiato in lacrime. L’avvocato Calantropo ha subito presentato richiesta di asilo politico per il suo cliente, che non può certamente ritornare né in eritrea, né in Sudan. «Ricorrerò in appello, non ci sono prove, solo collegamenti molto labili – dice il legale – Sui 5 mila contatti esistenti sul sul cellulare, solo tre sono stati ritenuti contatti telefonici con trafficanti. Bisogna considerare che il telefono può essere stato in uso a più soggetti. La cosa più grave è che il vero pericoloso trafficante di uomini è ancora a piede libero».

Di tenore ben diverso la posizione del procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi: «La Corte ha riconosciuto che si tratta di persona coinvolta nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Quindi non un povero falegname ingiustamente perseguitato. Per il resto leggeremo le motivazioni per comprendere il ragionamento della Corte».

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