martedì 3 maggio 2016
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Il costituzionalista Clementi: nessun rischio autoritarismo, abbiamo tre garanzie ROMA Il punto nevralgico del referendum di ottobre è in poche parole: «Con lo stallo si muore». La fa breve Francesco Clementi, costituzionalista del 'fronte del sì', romano, una cattedra a Perugia. «Ha letto 'Perché le nazioni falliscono' di Acemoglu e Robinson? – chiede il 41enne professore di diritto pubblico, tra l’altro uno dei 'saggi' della stagione Letta-Napolitano –. La tesi è semplice: le nazioni finiscono, muoiono, quando non cambiano. La sfida della consultazione sarà rendere i cittadini protagonisti del cambiamento del-l’Italia, un cambiamento che avviene restando pienamente dentro i valori fondanti della Carta costituzionale. Perdere questa opportunità significa perdersi come Paese. In questo senso, mi sembra che sia un gioco qualcosa di molto più grande delle leadership di Renzi. È, sarà, un voto storico». I cittadini però saranno sottoposti ad una campagna molto politica, anche per volere del premier Renzi. Il premier ha detto una cosa tutto sommato evidente: questa legislatura è in piedi per fare le riforme, se falliscono bisogna trarne le conseguenze. Partiamo dal principio, dal 2013. Dall’annus horribilis dell’Italia. Dalle elezioni senza vincitori. Dalla crisi economica che picchiava durissimo. Ne siamo usciti convincendo Napolitano ad un supplemento di sacrificio e con la promessa del Parlamento di fare la riforma costituzionale e la legge elettorale. A ottobre si chiude il cerchio di questo percorso che è la prima ragione per la quale Renzi è premier. Mattarella ha spiegato molto bene in due diversi interventi, uno alle alte cariche dello Stato a fine anno, l’altro alla Columbia University negli Usa, come l’Italia stia arrivando alla fine di una complicata ma vitale transizione. Sono tante le critiche al ddl Boschi. Una domina sulle altre: il rischio di scivolare nell’autoritarismo. Ci sono tre garanzie. La prima è che i poteri del capo dello Stato non cambiano di una virgola. La seconda è che la riforma non tocca nemmeno in mezzo rigo la magistratura e la giustizia. La terza è che le autonomie trovano dignità costituzionale con il nuovo Senato. C’è anche una quarta garanzia, che è la nostra appartenenza all’Europa: l’Ue non accetterebbe certo cedimenti sulla qualità della nostra democrazia. Nonostante ciò, i costituzionalisti sono fortemente divisi e dibattono anche con toni molto aspri. Nessun professore o costituzionalista ha in tasca la Carta perfetta. Potrei citare Mortati o Elia per dimostrare che gli equilibri istituzionali fissati nella Costituzione vanno letti in un preciso contesto storico, politico e sociale. Ognuno ha la sua forma di governo preferita, ma non credo che noi costituzionalisti siamo chiamati ad animare una discussione eterea e teorica. La domanda che dobbiamo porci, e con la quale dobbiamo suscitare la riflessione dei cittadini, è se questa riforma risponde bene alla situazione che viviamo nel Paese e in Europa. Io sono convinto di sì. Non solo: sono convinto che la crisi economica si sia accanita in modo particolare su di noi anche per la fragilità del sistema istituzionale. Una democrazia decidente ha maggiore anticorpi di fronte alle crisi perché è più rapida a rispondere ai problemi. Cosa replica a chi dice che alcune riforme sono dettate dall’Ue? Rispondo che i miei colleghi stranieri sono estremamente interessati a quello che sta accadendo in Italia. Chiedono saggi, documenti, testi, approfondimenti. Vogliono capire questo Paese, l’Italia, che ha preso la strada della stabilità. Lo fanno mentre i loro Paesi rischiano di imboccare la strada inversa, quella dell’instabilità. Sono spagnoli, inglesi, francesi, tedeschi, portoghesi. Loro, da studiosi, hanno ben chiaro che gli italiani hanno davanti agli occhi una opportunità e non un rischio. Lei ovviamente si spenderà per il sì. Quali conseguenze secondo lei avrebbe la vittoria del no? È chiaro che se vince il no si spalanca la strada ai populismi e si alimenta l’idea del Paese immobile, immodificabile, irriformabile. Non crede che il fronte dei nemici di Renzi, e della riforma, si restringerebbe se il premier concedesse delle modifiche all’Italicum? Riaprire ora il dibattito sull’Italicum significa scoperchiare il vaso di Pandora. La legge elettorale non è un dogma di fede. Testiamola sul campo e poi si vede. Marco Iasevoli © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista/2
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