mercoledì 18 maggio 2016
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«È un attacco diretto e formale allo Stato italiano che non ha tutelato e difeso adeguatamente la salute dei cittadini. Si tratta di un intervento pienamente legittimo da parte della gente. I tarantini ora aspettano risposte vere perché dalla tutela della salute non si prescinde. Allo stesso tempo resta aperta anche la questione occupazionale». Lo ha detto in un’intervista a Tv2000 l’arcivescovo della diocesi di Taranto, monsignor Filippo Santoro, commentando il procedimento aperto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’Italia, sul disastro ambientale dell’Ilva di Taranto. Sono stati 53 i ricorsi avanzati nel 2013 dal gruppo Legamjonici guidato dall’ambientalista Daniela Spera, a cui si sono aggiunti i 129 consegnati a Strasburgo il 21 ottobre 2015, con prima firmataria Lina Ambrogi Melle, consigliera comunale di opposizione. «Lo scopo del ricorso non è soltanto quello di soddisfare le pretese dei ricorrenti – spiega Melle – bensì quello più alto e generale di risolvere il problema per tutta la popolazione locale». Ilaria, 31 anni, una zia morta di tumore all’utero, è stata tra i primi ad aver firmato anni fa, insieme ad altri parenti di vittime e genitori di bambini malati di tumore. «Oggi per me è un giorno di festa» dice. Tra i firmatari anche l’eurodeputata del M5s, Rosa D’Amato, e Vincenzo Fornaro, l’allevatore della masseria a ridosso dell’Ilva a cui vennero distrutti centinaia di capi di bestiame, contaminati da diossina. Marina Luzzi © RIPRODUZIONE RISERVATA
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