mercoledì 19 settembre 2018
In una nota l'Unione Africana esprime sgomento per le dichiarazioni del ministro dell'Interno a Vienna, giudicate sprezzanti.
Il ministro Salvini a Vienna (Ansa)

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Ogni giorno che passa cresce il numero degli Stati che criticano il ministro dell'Interno o si risentono per le sue dichiarazioni. Dopo la dura polemica con il Lussemburgo questa volta è il turno dell'Unione Africana.
L'organizzazione internazionale, con sede in Etiopia e 55 Stati aderenti, ha infatti espresso "sgomento per le dichiarazioni del vicepremier italiano, al quale rimprovera di avere "paragonato gli immigrati africani a schiavi" nella recente conferenza di Vienna. La nota è chiara: "Nell'interesse di un impegno costruttivo sul dibattito sulla migrazione fra i due continenti, l'Unione africana chiede al vice primo ministro italiano di ritirare la sua dichiarazione sprezzante sui migranti africani".

Il riferimento è al vertice ministeriale Ue del 14 settembre nella capitale austriaca, e in particolare alle dichiarazioni da cui è scaturito il battibecco fra Salvini e il ministro degli Esteri del Lussemburgo Jean Asselborn, ripreso in un video diffuso venerdì sera su Facebook dal vicepremier. Nel corso del summit, il leader leghista a un certo punto aveva detto che l'Italia non ha "l'esigenza di avere nuovi schiavi per soppiantare i figli che non facciamo più"; è su questo che era cominciato il botta e risposta con Asselborn, il quale ha perso le staffe.

Già il giorno successivo, però, l'ufficio stampa del vicepremier aveva smentito la frase incriminata, spiegando di non aver mai "insultato gli africani". E Salvini ha risposto direttamente, a margine di una conferenza stampa al Viminale: "Smentisco l'equiparazioni fra migranti e schiavi. Anzi, le mie dichiarazioni a Vienna erano in difesa dei profughi che qualcuno in Europa usa come schiavi". La postilla finale è nello stile del governo gialloverde: "Se qualcuno volesse pensar male, forse c'è stato un difetto della traduzione francese". Gli interpreti sono avvisati. Naturalmente però poi spetterà al ministro degli Esteri o al premier riparare i cocci.



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