martedì 25 settembre 2018
Il coraggio di Nikolay di testimoniare dopo la morte di Fabio Giuseppe Gioffrè è un esempio. Merita d’essere protetto e premiato, oltre che raccontato
Nikolay ha fatto arrestare i killer: «Sì, sono stati loro»
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Guardandolo negli occhi i sicari lo avevano avvertito: «Canziati e sperditi i nui», «Allontanati e dimenticaci ». Il piccolo Nikolay era a terra, dolorante, con un pallettone conficcato nella pancia.

Poco distante il corpo ormai senza vita dell’amico Fabio Giuseppe Gioffrè che era l’obiettivo dei due killer. Avevano il volto coperto da passamontagna ma, nonostante il terrore e il dolore per la ferita, Nikolay era convinto d’avere riconosciuto la voce di uno dei due componenti del commando omicida. Così nei giorni successivi all'agguato, quando è uscito dalla fase critica e il dolore ha cominciato a calare d’intensità, i magistrati gli hanno fatto visita nella sua stanza del grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria, chiedendogli se ricordasse qualcosa di quanto avvenuto sabato 21 luglio nelle campagne di Seminara, nel Reggino.

Dall’alto dei suoi dieci anni il piccolo Nikolay ha raccontato i suoi sospetti. Col coraggio dei grandi, quelli veri. Senza badare ai consigli della sua famiglia e dei congiunti della vittima che, hanno ricostruito gli inquirenti, avrebbero tentato in tutti modi di non raccontare agli inquirenti quanto sapeva. La versione del piccolo di origine bulgara, invece, non è mai cambiata: né quando parlava coi magistrati reggini, né quando ne dialogava coi familiari e gli inquirenti li intercettavano. Lo doveva al suo amico Fabio cui s’era legato molto e che spesso lo portava con sé, soprattutto in campagna. Nikolay voleva bene a Fabio. Molto. E il miglior modo per ribadirglielo era aiutare la giustizia a individuare i responsabili della sua morte.

Il piccolo non ha dimenticato la minaccia, «Canziati e sperditi i nui» , ma ricordava soprattutto l’affetto che lo legava a Fabio. Perciò ha raccontato di quei due uomini col passamontagna, del modo in cui erano vestiti e soprattutto di quella voce, che aveva già sentito il giorno prima, quando Gioffrè aveva litigato con Domenico Fioramonte nel frantoio della sua famiglia. Il ragazzino non sarebbe sceso dall’auto per paura dei due cani maremmani tenuti nell'opificio. Ma ha visto l’uomo che già conosceva e assistito alla lite tra i due.

Il giorno dopo, sul luogo del delitto mentre assieme a Fabio davano da mangiare ai maiali, quando sente la minaccia con cui il killer prova a a terrorizzarlo, non ha dubbi. Nel momento in cui gli inquirenti gli mostrano una foto segnaletica il bambino non tentenna: sì, è lui. «La voce era di Mimmo», avrebbe aggiunto il piccolo, aiutando magistrati e carabinieri a stringere il cerchio attorno a Domenico Fioramonte, 41 anni, considerato l’autore materiale assieme a un’altra persona al momento sconosciuta.

All'origine del delitto, secondo gli investigatori coordinati dalla Dda, la reazione a richieste estorsive subite da Fioramonte, titolare d’un frantoio a Seminara e indicato come contiguo al clan Grasso di Rosarno. Il racconto del bambino viene incrociato a quanto magistrati e investigatori ricostruiscono in controlli incrociati, indagini, e ascoltando le intercettazioni decise nell’ambito di un’altra inchiesta aperta da tempo nei confronti dei Grasso di Rosarno. I pezzi del puzzle combaciano, permettendo agli inquirenti di mettere in piedi l’ordinanza di custodia cautelare che porta in carcere Fioramonte e gli altri due. Con un quarto uomo, il presunto complice di Fioramonte quel bollente pomeriggio d’estate nelle campagne di Seminara, ancora libero. Il coraggio di Nikolay è un esempio. Merita d’essere protetto e premiato, oltre che raccontato.

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