giovedì 1 agosto 2019
In Sardegna, la decisione di bloccare per 18 mesi la produzione di bombe apre una fase nuova. I timori di sindaci e sindacati. Il Comitato: sviluppo sostenibile per il Sulcis
Rwm, il nodo riconversione «Ora garanzie ai lavoratori»
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Bloccata per 18 mesi la licenza che le consente esportazioni belliche in Arabia Saudita, la Rwm, fabbrica che nel Comune sardo di Domusnovas produce bombe che dal 2015 a oggi hanno ucciso e mutilato diverse migliaia di bambini yemeniti, è passata subito all’azione: fermi tutti. Dal prossimo 5 agosto, come ogni anno in questo periodo, ferie collettive per i 300 lavoratori. Ma delle previste 36 assunzioni con contratto a tempo determinato non si farà niente. Fermati anche 50 giovani selezionati per corsi di formazione finalizzati all’inserimento in fabbrica per nuove produzioni. «La Confindustria regionale – dice Nino D’Orso, segretario territoriale della Femca-Cisl ( lavoratori chimici) – ci ha comunicato un imminente incontro, probabilmente entro la settimana prossima con l’amministratore delegato Rwm».

È il momento della paura e della speranza. L’importante risultato conseguito con lo stop all’export di armi acquistati da Arabia Saudita ed Emirati Arabi apre una fase nuova. Nessuno dichiara vittoria in questo angolo di Sardegna devastato dalla crisi: sicuramente non i lavoratori e i sindacati, che aggiungono un altro nome all’elenco delle aziende a rischio occupazione. Anche il Comitato territoriale di riconversione Rwm, formato da oltre 20 aggregazioni della società civile che chiedevano l’embargo ora si interrogano su come salvaguardare i posti di lavoro. Insomma la conciliazione degli opposti che soltanto la politica avrebbe potuto assicurare, ma non l’ha fatto. Il rischio è che l’incertezza continui e che si entri in un tunnel fatto da tutte le forme di ammortizzatori sociali.

«Condanniamo fermamente le morti in Yemen, ma penso – dice don Salvatore Benizzi, responsabile diocesano per la pastorale sociale – che siano gravissime per il tessuto sociale anche le conseguenze della chiusura delle fabbriche che creano disoccupazione e mancanza di prospettive per il futuro». «La decisione del governo ci allieta ma non ci basta. Ci sono dei lavoratori incolpevoli che – dice Arnaldo Scarpa del Comitato territoriale per la riconversione Rwm – sono stati, alcuni per anni, illusi che tutto fosse regolare e che ora potrebbero trovarsi sulla strada. C’è un territorio che soffre almeno da decenni le conseguenze di una crisi industriale accentuata, che chiede rispetto e vuole un futuro per i propri figli. Non puntiamo necessariamente ad una riconversione industriale dello stabilimento, ma a un ripensamento generale dell’economia del Sulcis-Iglesiente, che sia pacifico, duraturo, sostenibile per l’ambiente e non inquini le coscienze di un tessuto sociale ancora sostanzialmente sano e coeso».

«Per un mese si ferma la produzione – riflette il segretario Cisl, Nino D’Orso – poi si vedrà. Noi sappiamo che c’è mezzo mondo pronto a produrre quello che si fabbricava a Domusnovas, con le stesse finalità, e a lavorare anche a costi molto più bassi facendo aumentare i ricavi dei produttori. Noi ci battiamo perché questa azienda rimanga in piedi, riconvertendosi, ma sulla base di impegni certi, quantificabili e in tempi brevi. Da oggi si naviga al buio, neppure a vista». I sindaci del territorio sono preoccupati. Il provvedimento del governo che segue l’approvazione alla Camera, il 26 giugno scorso, della mozione sull’esportazione di armi nel conflitto yemenita, preoccupa soprattutto i piccoli centri, già al centro di una progressiva deindustrializzazione.

«Nessuno è a favore della guerra, ma ce n’è anche una che ci troviamo continuamente a combattere nei nostri Comuni ed è quella contro la disoccupazione», hanno detto le fasce tricolori dei 23 municipi iglesienti in una riunione convocata per decidere iniziative unitarie. La partita per la riconversione sembrava davvero solo all’inizio.

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