sabato 26 ottobre 2019
Il segretario generale della Cei e alcuni leader musulmani nello storico carcere milanese
Monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei (Siciliani)

Monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei (Siciliani)

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«Il Papa ci ha invitati a dare segni concreti. Ecco perché come Chiesa italiana abbiamo scelto di celebrare la Giornata dell’amicizia islamo-cristiana in un carcere. È un segno che offriamo – anche alla società civile – per dire che anche in un luogo di convivenza forzata è possibile vivere incontri positivi, all’insegna della fratellanza, della pace, del dialogo tra persone di culture e di fedi diverse». Così il vescovo Stefano Russo, segretario generale della Cei, spiega il significato dell’incontro avvenuto ieri pomeriggio a Milano, all’interno della storica casa circondariale di San Vittore.

Con lui hanno varcato la soglia del carcere autorevoli esponenti dell’islam nazionale e milanese, tutti invitati ad assistere – assieme ai detenuti – ad uno spettacolo teatrale, «Leila della tempesta », scritto e interpretato da Alessandro Berti con Sara Cianfriglia. «Un’opera che nasce dalla straordinaria esperienza di dialogo vissuta in carcere da Ignazio De Francesco, monaco della Piccola Famiglia dell’Annunziata, in particolare con una donna detenuta. Da quell’esperienza – riprende Russo – è nato un libro, e dal libro una pièce, che permette di toccare temi come la religione, la cittadinanza, il rapporto uomo-donna e altri ancora, calati nel concreto della vita. Portare quest’opera in un carcere ci dice che l’uomo può cercare il bene ovunque».

Offrire segni concreti. Partire dalla vita. Ecco di cosa ha bisogno il dialogo islamo-cristiano per diventare amicizia generatrice di bene comune. «L’incontro di vertice, fra leader, non basta. Il dialogo autentico deve abitare la quotidianità, per farsi incontro, conoscenza e riconoscimento reciproco», scandisce Yassine Lafram, presidente nazionale dell’Ucoii (Unione delle comunità islamiche d’Italia). «Dobbiamo educare alla cultura del dialogo – riprende Lafram –. E proprio il carcere può essere il luogo di questo dialogo della vita, dove nella convivenza con persone di fede diversa, mentre impariamo a conoscere e rispettare gli altri, riscopriamo la nostra fede». Ed è questa la via per affrontare i rischi di radicalizzazione che a volte insidiano i detenuti di fede musulmana. «Un problema sovradimensionato ma reale, che si verifica perché non è garantito il diritto costituzionale ad avere assistenza spirituale in carcere – sottolinea il presidente dell’Ucoii –. Quando per anni non entra un imam, accade che si formino gruppi di detenuti e, al loro interno, imam autoproclamati, col rischio di dare 'copertura' religiosa ai sentimenti di rabbia e rivalsa così diffusi in carcere. Serve un accordo fra Stato e comunità islamiche per individuare imam e guide che possano dare assistenza spirituale in carcere, alternativa alla religione 'fai da te'. Guide che possono anche essere donne, come le due che a nome dell’Ucoii prestano servizio a Bollate».

La Giornata dell’amicizia islamo- cristiana ricorda lo storico incontro interreligioso di preghiera per la pace convocato da san Giovanni Paolo II ad Assisi il 27 ottobre 1986 e ha trovato nuovo slancio dal Documento sulla fratellanza umana firmato lo scorso febbraio ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal Grande Imam di Al Azhar. Un primo frutto di questo cammino, la visita di monsignor Russo e l’incontro sul documento di Abu Dhabi dello scorso 29 giugno alla Grande Moschea di Roma. Ieri, l’incontro di Milano. Nella Rotonda di San Vittore, al fianco di Russo, fra gli altri, il vicario generale della diocesi di Milano, vescovo Franco Agnesi, e don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio nazionale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso.

Fra il pubblico il costituzionalista Valerio Onida, coinvolto – con De Francesco – in incontri con i detenuti in preparazione all’evento. «A San Vittore, ogni giorno, arrivano persone dalla strada, dalla povertà, dalla marginalità più grave. Persone che non si scelgono ma che qui devono imparare a convivere – ricorda il direttore del carcere, Giacinto Siciliano –. Per questo promuoviamo molteplici iniziative, soprattutto nella formazione. Ed è bello che un luogo di convivenza forzata come il nostro possa mostrare anche a chi sta fuori che il rispetto e l’incontro fra persone di cultura e fede diversa è possibile».

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