venerdì 9 aprile 2010
Dopo il caso della donna pugliese che ha firmato per uscire dall’ospedale dopo aver preso la pillola intervengono i ministri Fazio e Sacconi: «L’aborto non deve essere banalizzato».
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Pillola Ru486, il giorno dopo. Dimessa la prima donna che ha assunto il preparato abortivo, non rientrano le polemiche sull’opportunità di non sottoporsi al ricovero ordinario di tre giorni previsto dai protocolli per l’aborto farmacologico. E se il responsabile del reparto dell’ospedale barese in cui si eseguono le interruzioni di gravidanza ha tenuto ancora ieri a precisare che la paziente «ha firmato volontariamente» l’uscita dopo tre ore – e oggi tornerà per la seconda dose, mentre altre otto sono in lista d’attesa – Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute, esprime forti perplessità. Questo modo di procedere, spiega, è «da arginare assolutamente, perché la pillola abortiva è più rischiosa dell’aborto chirurgico». Rischio che si pareggia solo con il ricovero, come da recente parere del Consiglio superiore di sanità. Quindi occorre «un’assunzione di responsabilità» e «anche i medici devono informare correttamente le pazienti sui rischi che corrono uscendo prima». Il dicastero, comunque, emanerà quanto prima linee guida.Che ci saranno lo ribadisce il ministro Ferruccio Fazio. Il quale invita, poi, ad abbassare i toni della polemica, rispondendo alle parole del governatore del Veneto Luca Zaia, che ha espresso il timore che la Ru486 possa diventare come l’aspirina. «L’aborto chimico è a tutti gli effetti un aborto che necessita un ricovero come prescrive la legge 194. per il Css l’Ru486 non è un farmaco da banco», ricorda. Il titolare del Welfare, Maurizio Sacconi vede, però, il pericolo di una banalizzazione dell’aborto e che la pillola sia «scambiata per una sorta di anticoncezionale». E avverte: se la regola del ricovero ordinario dovesse rivelarsi «inefficace», cioè in pratica venisse «elusa», il Governo «interverrà».Le indicazioni del Css non vanno messe in discussione, ma il presidente della Federazione degli ordini dei medici, Amedeo Bianco, si trincera dietro l’articolo 32 della Costituzione secondo il quale «le donne hanno il diritto di firmare e uscire». Questo non significa, spiega, che cessi il rapporto medico-paziente. E anche sotto il profilo giuridico il medico, pur sollevato dalla firma delle dimissioni, deve «continuare a seguire le pazienti, altrimenti sarebbe omissione di servizio». Concetto che ribadisce anche il presidente dell’Aifa, l’agenzia del farmaco, Sergio Pecorelli, difendendo la scelta di dare disco verde alla Ru486.Chiede linee guida subito il Movimento per la vita, per il quale «è urgente che il governo e le Regioni, proprio in occasione delle discussioni sulla pillola, emanino al più presto delle direttive generali che rendano le attività preventive previste dalla legge controllabili e davvero efficaci nella vera direzione di restituire alla donna la libertà di non abortire», afferma il presidente Carlo Casini.Maggioranza e opposizione si dividono aspramente. Parla di «scandalosa campagna di disinformazione che si sta facendo in alcune regioni d’Italia sull’uso della pillola chimica» il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri. Anna Finocchiaro, capogruppo Pd, replica a lui e a Sacconi definendo le loro parole «minacce davvero fuori luogo per le donne, per i medici e per le strutture ospedaliere», e sospettando che dietro le polemiche ci sia l’obiettivo di colpire la legge 194. «Atti di sciacallaggio», rincara la dose la senatrice Vittoria Franco (Pd). Anche il numero uno dell’Idv a Palazzo Madama, Felice Belisario, accusa Sacconi di «insultare le donne» e parla di un governo «integralista e oscurantista». Infine Dorina Bianchi (Udc) invita a spostare il dibattito dalla cultura dell’aborto alla tutela della vita.
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