sabato 30 novembre 2013
«Intervenite prima che sia troppo tardi». Dopo la rivolta che sconvolse la piana di Gioia Tauro quasi nulla è cambiato. L’impegno della Chiesa e dei sindaci locali. Il vescovo di Oppido-Palmi, Milito: noi non ci tiriamo indietro. (di Antonio Maria Mira)
REPORTAGE Né acqua né luce nel ghetto degli invisibili
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«Prima che sia troppo tardi...». È la frase che abbiamo sentito più volte nel nostro ultimo viaggio a Rosarno e negli altri paesi della Piana di Gioia Tauro. Ce lo hanno detto gli immigrati, i volontari, i parroci, i sindaci. Per Man Addia, 31 anni, liberiano, è stato purtroppo davvero «troppo tardi». È morto nell’auto dove si era dovuto adattare, perché ormai non c’è più posto nella tendopoli di San Ferdinando, l’unica struttura per gli immigrati, assieme al piccolo villaggio di container di Rosarno. In tutto appena 600 posti (500 più 100). Pochi, pochissimi, a fronte delle migliaia di immigrati presenti per la raccolta di arance e clementine. Attorno alla tendopoli stanno sorgendo tante baracche, mentre nelle campagne vivono gli "invisibili". E il grosso deve ancora arrivare. Mentre il Centro di accoglienza in costruzione a Rosarno su un terreno confiscato alla ’ndrangheta è bloccato perché una delle imprese è stata raggiunta da un’interdittiva antimafia. Così a quasi quattro anni dalla rivolta del gennaio 2010, quando gli immigrati reagirono alle violenze e allo sfruttamento di ’ndragheta e proprietari terrieri, nulla e cambiato. Malgrado le denunce della Chiesa locale e dei sindaci della zona. Così si può morire di freddo e di stenti. Che tutto non sia chiaro lo dimostra l’attenzione della magistratura. Ieri il procuratore di Palmi, Giuseppe Creazzo, accompagnato dalla polizia giudiziaria, ha fatto un’ispezione nel campo. Si vuole capire come è stata possibile quella morte ma anche quale sia lo stato della tendopoli che pur allestita dallo Stato (sulle tende è scritto "Protezione civile") non è adeguata, senza elettricità né riscaldamento. E poi come è possibile che tutto sia sempre uguale, perché questa non è un’emergenza, visto che si ripete da anni. Mentre gli interventi sono inadeguati. Proprio per questo la procura sta da tempo tenendo d’occhio la situazione.A denunciare con forza, ma anche a rimboccarsi le maniche, è la Chiesa, locale a nazionale. Lo scorso anno la Caritas italiana offrì 40mila euro e altri 10mila la diocesi di Oppido-Palmi. Soldi preziosissimi per l’impianto elettrico e la bolletta. Ma finiti questi fondi, l’elettricità è stata staccata. «Non possiamo sostituirci sempre alle istituzioni – denuncia il vescovo Francesco Milito –. Nonostante tutto la Chiesa continua ad assistere questi fratelli. Altri che dovevano intervenire, invece, non lo hanno fatto. E così ogni anno si arriva a questa situazione drammatica». Monsignor Milito ha dedicato al tema dell’immigrazione ben quattro messaggi in un un anno. E i titoli sono più che espliciti. «Ancora al "freddo e al gelo". Avvento di fraternità», «Settembre andiamo. È tempo di migrare. Dove? Come?», «Non ci costò l’aver amato», «Da Natale a Pasqua: non ha colori la pelle di Dio». Sempre, spiega il vescovo, «per richiamare le istituzioni alle proprie responsabilità. Invano...».Anche il sindaco di San Ferdinando, Domenico Madafferi, si è rivolto a tanti. «Ho scritto al presidente della Repubblica, al ministro dell’Interno, al presidente della Regione. Nessuna risposta. Solo la Regione mi ha detto che non intende spendere neanche un euro». Ora, «grazie all’impegno del prefetto di Reggio Calabria, arriveranno 40mila euro per l’elettricità. Useremo un gruppo elettrogeno perché rifare il contratto con l’Enel ci costerebbe da solo 12mila euro. Nessuno sconto». Basterà? «No – aggiunge –. Ho proposto di usare i capannoni abbandonati nell’area industriale, sono pronto a requisirli. Ma non mi rispondono. Ancora una volta noi sindaci siamo lasciati soli. Mi dicano quello che devo fare – è il suo appello –. Ma nessuno ci sostiene, tutti se ne fregano, perché gli immigrati non votano. Dovrei smantellare le baracche ma non lo faccio perché provocherebbe un’altra rivolta. Mi chiamino pure "il sindaco della tendopoli", è un onore. Ma ci aiutino, qui è di nuovo emergenza».
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