sabato 19 settembre 2020
Parla l'arcivescovo Bertolone: era umile, riservato, laboriosissimo. Di fronte ai morti per mafia, mentre qualcuno tirava un sospiro di sollievo per essersi liberato di persone scomode, lui pregava
«Livatino, utopia del bene che ha vinto»

Ansa archivio

COMMENTA E CONDIVIDI

21 settembre 1990, ore 8.30: sulla strada tra Agrigento e Caltanissetta il giudice Rosario Livatino viene ucciso in un agguato di mafia; aveva 38 anni. Domani alla stessa ora su iniziativa del Centro Studi Livatino il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ricorda il 30° anniversario della morte con una Messa nella chiesa del Sacro Cuore del Suffragio a Roma (Lungotevere Prati).
Alle 15 il presidente della Repubblica Sergio Mattarella partecipa a Palermo alla lezione del Consiglio superiore della Magistratura «Deontologia e professionalità del magistrato, un binomio indissolubile. In memoria di Rosario Livatino»; interviene tra gli altri don Giuseppe Livatino, postulatore diocesano della causa di canonizzazione.

Siciliani

«Rosario Livatino era umile, riservato, laboriosissimo: un esempio per tutti». Così lo descrive monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, e postulatore della causa di beatificazione del giovane magistrato ucciso dalla mafia trenta anni fa, il 21 settembre 1990. «È un uomo che fa la differenza cristiana – aggiunge – e, per questo è molto attuale, cosa rilevante per la Chiesa e la società nella quale persiste un campo asfissiato dalla prassi corrotta delle organizzazioni senza Dio, quali sono quelle mafiose». E non a caso, sottolinea, «sulla sua scrivania teneva sempre la Carta costituzionale, i Codici e il Vangelo».

Monsignor Bertolone, a che punto è la causa di beatificazione di Rosario Livatino?
Terminate le due inchieste diocesane e redatta la Positio super martyrio, tutti gli atti sono ora all’esame della competente Congregazione delle Cause dei Santi che curerà l’iter dovuto fino al parere, che si spera positivo, ed alla successiva trasmissione della proposta al Santo Padre.

Perché ritiene che Livatino possa essere dichiarato beato?
La plurisecolare prassi della Congregazione vaticana prevede che si debba provare o dimostrare, sulla base di testimonianze canoniche, scritti e altra documentazione storica e teologica, che vi sia stato materialmente un episodio di martirio. Nel caso di Livatino si ha a che fare non solo con un assassinio con caratteristiche militari, ma anche con dei persecutori – mandanti e assassini – che manifestarono, nell’ucciderlo, odio verso la fede e la prassi cristiana professate dalla vittima e se la vittima era consapevole del possibile esito tragico – liberamente accettato – della sua coerenza ai principi evangelici.

Che cristiano era Livatino? E cosa del suo essere cristiano metteva nel suo essere magistrato?
Livatino era un fedele laico, devoto al Magistero di papa Paolo VI, che egli chiama «il Papa della mia giovinezza». Il Concilio aveva chiaramente teorizzato l’apostolato e l’impegno sociale dei laici, chiamati ad attuare la propria indole secolare. L’educazione cristiana ricevuta in famiglia si delinea durante gli anni di liceo con dibattiti sulla condizione giovanile e in parrocchia. Identificata la propria vocazione per il mondo della giustizia. La severità e il rigore delle condanne, emesse dopo l’acquisizione di tutte le prove, decise senza fretta e con ponderazione, colpisce il reo, ma egli spera che questi, anche grazie alla giusta condanna, possa emendarsi e tornare alla legalità. Di fronte ai morti per mafia, mentre qualche collaboratore tirava un sospiro di sollievo per essersi liberato di una persona scomoda, Livatino pregava, invitando a tacere di fronte alla morte. Con discrezione e senza dare nell’occhio aiutava le famiglie dei carcerati e anche coloro che avevano scontato la legittima pena. Sulla sua scrivania sempre la Carta costituzionale, i Codici e il Vangelo.

Che significato avrebbe per la comunità dei credenti la beatificazione di Livatino? E per i magistrati e la giustizia?
La testimonianza di Livatino è una bella pagina evangelica offerta alla Chiesa, e non solo, di ieri, di oggi e di domani. Opponendosi alla logica di sangue che in quegli anni imperversava nell’Agrigentino, fu ben presto considerato esemplare da tutti. In particolare, risplendevano la testimonianza viva e la fortezza cristiana esercitate in modo sereno e pacificatore, probo, sobrio, frugale, disponibile, sempre nel rispetto della dignità altrui, seppur in un contesto territoriale difficilissimo. Saldo nei principi cristiani e nell’esercizio della giustizia, lavora con discrezione, si pone agli antipodi delle logiche schiavizzanti e criminali dell’affare, delle pressioni su chi conta, del prestigio ad ogni costo e dell’omertà.

È un santo attuale? Che cosa dice alla società di oggi?
Aspettiamo con fiducia e pazienza l’esame della Congregazione delle Cause dei Santi. Tuttavia ritengo che si possa ben dire che Rosario è un esempio per i fedeli cristiani laici, perché dimostra che l’esistenza dev’essere l’attuazione quotidiana di una vita in risposta a una vocazione ex alto, nella quale preghiera, spiritualità, vita sacramentale, azione caritativa sono armonicamente fuse con il dovere e l’attività professionale.

In uno dei suoi scritti Livatino parla del «superamento della giustizia attraverso la carità»: un concetto che appare molto lontano dal giustizialismo, dal tintinnar di manette oggi molto in voga.
Sulla virtù della giustizia nella conferenza "Fede e diritto" del 30 aprile 1986, Livatino tratteggia il Dio biblico, "Dio della giustizia e dell’amore", manifestatosi in Gesù di Nazareth, come giustizia da praticare in misura superiore rispetto a quella di scribi e di farisei (Mt 5,20): "...evoluzione futura del popolo di Dio, tesa a raggiungere la civitas Dei: necessità della giustizia, ma al contempo superamento della giustizia, perché essa, in sé sola, è insufficiente. Un’affermazione terribilmente incomprensibile per i non cristiani, ai quali non sembra assolutamente vero che una perfetta giustizia non sia sufficiente per realizzare completamente l’umanità". Insomma, nella civitas christiana "la giustizia è necessaria, ma non sufficiente e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore, amore verso il prossimo e verso Dio". Non si deve mai identificare il male, per quanto gravissimo, con chi lo compie: l’uomo vale di più del male che compie. Dobbiamo odiare e combattere il male, ma amare le persone: è l’utopia del bene che vince il male.

Giovanni Paolo II lo definì «martire della giustizia e indirettamente della fede». Livatino era cosciente di andare verso il martirio? Lo accettò? E perché?
L’affermazione di San Giovanni Paolo II è stata ripresa recentemente da papa Francesco. Fu la stessa mamma del Servo di Dio a paragonare esplicitamente la morte del giovane figlio al consummatum est (Gv 19,30) di Gesù Crocifisso. Nell’abbraccio con la mamma del Servo di Dio, ella disse: «Tutto è compiuto». Le minacce ricevute erano chiare, anche per questo Livatino aveva rinunciato al matrimonio ed alla scorta per evitare che la sposa diventasse vedova ed i figli fossero degli orfani o che degli innocenti perdessero la vita a causa sua. Tra i tanti, mi piace ricordare questo suo messaggio: «Noi siamo uomini semplici. Non dobbiamo agire per finire sui giornali, ma per un senso di dovere».


Avvenire archivio

​L'agguato. Quei sicari della "stidda" assoldati dalla mafia

Rosario Livatino entrò in magistratura nel 1978. Dal 1979 al 1989 coprì il ruolo di sostituto procuratore, per poi diventare giudice. Venne ucciso da quattro sicari della "stidda" assoldati dalla mafia. Ma probabilmente gli ordini potrebbero avere avuto un’origine nell’intreccio mafia, politica, imprenditoria. Livatino, infatti, si era occupato di delicatissime inchieste sulla criminalità organizzata agrigentina ma anche della prima "tangentopoli siciliana". Killer e mandanti mafiosi sono stati individuati e condannati, grazie soprattutto alla coraggiosa e precisa testimonianza di Pietro Nava, agente di commercio di Lecco che transitava in quel momento. Da allora lui e la famiglia hanno dovuto cambiare identità e vivono in una località protetta.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: