domenica 20 ottobre 2019
Sui migranti botta e risposta a distanza con Conte. «Governo con le mani sporche di sangue». La replica del premier: «Stia zitto, su queste cose non si scherza. La piazza non mi spaventa»
Da sinistra: Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini sul palco di piazza San Giovanni a Roma (Fotogramma)

Da sinistra: Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini sul palco di piazza San Giovanni a Roma (Fotogramma)

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E venne il giorno di Matteo Salvini. Il leader della Lega si riprende la scena ed esibisce lo scettro del comando di tutto il centrodestra. Davanti a una piazza San Giovanni gremita - gli organizzatori parlano di «oltre 200mila persone» - va in onda la storica successione, senza polemiche o sbavature. Tocca al leader della Lega, da padrone di casa, convocare sul palco Silvio Berlusconi «che ne ha fatte tante e ancora tante ne farà». Le polemiche della vigilia sul simbolo unico nella scenografia, nate dalla delusione manifestata da Giorgia Meloni, sono derubricate da Salvini a cosa inventata dai giornalisti. Perché questa è la piazza della ritrovata unità del centrodestra. Contro il governo «delle cinque sinistre», come lo ri-battezza Berlusconi, aggiungendo la magistratura come quinta, in virtù delle manette agli evasori di cui si parla.

Al momento di prendere la parola un video celebrativo introduce il leader assoluto e ad accompagnarlo risuona "Vincerò". «Qua oggi c’è l’Italia vera. Vedervi da qua è una cosa emozionante, c’è gente che continua ad arrivare», dice un Salvini visibilmente emozionato. Misura le parole, ha voglia di unire, ma poi scivola due volte sull’immigrazione. Una prima, cadendo di nuovo nel gioco di dividere i cattolici: «Siamo a San Giovanni e magari qui domani qualcuno dirà di nuovo che un cristiano non può votare Lega...». E chiude dicendo: «Preghiamo e lavoriamo anche per loro». Poi una seconda volta, quando accusa il governo di avere «le mani sporche di sangue», motivando la grave affermazione con l’idea che «chi davvero applica gli insegnamenti del Vangelo e della Bibbia sia colui che impedisce che i migranti si mettano in mano agli scafisti». Il presidente del Consiglio non ci sta, ed entra in diretta Facebook da Perugia, dove si trova per Eurochocolate: «Non si dicano stupidaggini, su queste cose non si scherza», sbotta Giuseppe Conte. «Piazza San Giovanni non mi spaventa», assicura. Parla di «speculazione politica di basso profilo, Salvini fa bene a stare zitto». E ricorda: «Quando abbiamo governato insieme, chi si è preoccupato in Italia, in Europa e in Africa, dovunque sono stato, di difendere il buon nome dell’Italia su questo fronte, dove la propaganda politica ci stava facendo male, è stato il sottoscritto, chiaro?».

Il bersaglio preferito della piazza diventa il Beppe Grillo, e per ben due volte il «vaffa» per lui sale vigoroso, una volta quando il Garante di M5s viene evocato da Meloni e poi quando a tirarlo in ballo è lo stesso Salvini. L’altro coro potente quando il leader della Lega (che rilancia anche sull’elezione diretta del capo dello Stato) evoca il ritorno al voto e la piazza lo segue gridando con insistenza «E-le-zio-ni, E-le-zio-ni». «Noi al governo torneremo, torneremo, e dalla porta principale senza trucco e senza inganno», dice Salvini con chiaro riferimento a quello che invece, nelle parole di Meloni, era stato definito «il governo dell’inciucio». Attacca i due governi locali per colpire i due principali alleati del governo che lo ha disarcionato: «Dateci una mano a mandare a casa Zingaretti e Raggi, Gianni e Pinotto, il duo sciagura, due perdenti a livello nazionale...».

Prima dei leader avevano parlato esponenti dei sindacati di polizia, e i governatori Giovanni Toti, Attilio Fontana, Nello Musumeci e Luca Zaia. Ma proprio sull’intervento del presidente del Veneto scoppia un caso quando auspica «che la Polizia abbandoni il galateo e riprenda i manganelli».

Poi tocca a Giorgia Meloni sancire: «Davanti a 200mila persone - sfida - chiedo a Matteo e a Silvio di dire mai con il Pd, mai con i 5 stelle». Il nuovo centrodestra è servito. «La maggioranza del Paese ci vuole uniti e noi oggi lo eravamo. Era giusto essere qui oggi. Ho fatto bene a venire», dice il Cavaliere incurante della freddezza di gran parte dei suoi. Da Salvini la magnanimità del vincitore, verso Berlusconi («un mio amico che inventò il centrodestra») e verso Giorgia Meloni, «una vera combattente per la libertà».

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