sabato 1 luglio 2017
«Non voglio più quella casa. Adesso ho paura». In Italia da 26 anni, dopo aver ottenuto un alloggio popolare a Tor Bella Monaca, viene pestato da quattro italiani
Roma, «ai neri niente casa». E l'aggredito non la vuole più
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«Non voglio più quella casa. Prima ero contento, adesso ho paura. Piuttosto che tornare lì, dormo in strada».
Howlader Dulal, di origine bengalese e cittadinanza italiana, cinquantadue anni e nel nostro Paese da ventisei, lavora in un ristorante con regolare contratto. È cardiopatico, ha due figli, uno dei quali disabile. Lo hanno picchiato perché straniero e assegnatario di una casa popolare.

Racconta ancora quanto gli è successo lunedì scorso: «Ero arrivato a Tor Bella Monaca, ma non riuscivo a trovare largo Ferruccio Mengaroni (dov’è la casa assegnatagli, ndr). Ero felice, davvero. Mi sono avvicinato a quattro ragazzi e gli ho chiesto dove fosse quella piazza. Mi hanno domandato perché volessi saperlo, ho mostrato loro il certificato del Campidoglio che mi assegna una casa. A quel punto sono cominciati gli insulti razzisti e le parolacce. Uno di loro mi ha aggredito da dietro dandomi un calcio. Una signora è intervenuta dicendo loro di non ammazzarmi. Ma hanno continuato, e un altro mi ha strappato la camicia di dosso. Poi sono scappati. Mi si è avvicinato un uomo che mi ha chiesto come mi sentissi e abbiamo chiamato insieme le forze dell’ordine e l’ambulanza».

Dulal, che è cardiopatico, racconta la paura, tanta, di quei momenti: «Il cuore mi batteva forte. Ero tutto sudato». E racconta la telefonata ricevuta dal Campidoglio: «Forse mi aiuteranno», dice. L’assessore comunale alle politiche Sociali, Laura Baldassarre, fra domani e dopodomani dovrebbe incontrarlo, intanto il Dipartimento politiche abitative del Campidoglio sarebbe già a lavoro per individuare una sistemazione alternativa per l’uomo e la sua famiglia.

Dulal parla anche di loro: «Mio figlio, quello grande che ha diciannove anni, studia Ingegneria informatica alla Sapienza, il piccolo, che ha otto anni, è disabile al cento per cento». Sua moglie «fa la domestica a ore, ma guadagna pochissimo. Io prendo millecento euro al mese e settecentocinquanta se ne vanno per l’affitto, per vivere non ci resta quasi niente».


È in Italia da ventisei anni, ma non sa se adesso resterà: «Se non trovo qualcosa di meglio, vado via. Non tornerò in Bangladesh, perché stare lì significa morire prima, ma non posso nemmeno restare qui, anche se vorrei, perché adesso ho paura. Spero che cambi qualcosa, spero di poter restare in Italia, ma solo se le cose cambieranno».


Gli immigrati assegnatari di alloggi popolari a Roma «sono meno del 10%. I nuovi assegnatari, quelli che sono entrati negli ultimi 3 anni, sono circa il 15%» del totale, fa sapere l’Unione Inquilini. E «se da un lato gli immigrati occupano una fetta minoritaria delle nuove assegnazioni, dall’altro le persone che risiedono in un alloggio popolare senza averne titolo sono quasi tutte italiane».

Questo pestaggio non è il primo brutto caso di razzismo nella Capitale, altri cittadini stranieri legittimamente assegnatari di una casa popolare non hanno potuto andarci a vivere. Nel dicembre scorso una 'rivolta' di occupanti delle case popolari di San Basilio aveva impedito a una famiglia marocchina, padre operaio e mamma casalinga con tre bambini piccoli, legittima assegnataria di alloggio Ater appena sgomberato da una famiglia abusiva, di prendere possesso dell’abitazione.

E a gennaio un’altra famiglia di origine egiziana con padre, madre e tre figli, si è vista sbarrare al Trullo la porta d’ingresso della casa popolare dallo schieramento di Forza Nuova, Casa Pound e 'Roma ai Romani'. Anche nel caso di Dulal, come nei precedenti, l’amministrazione capitolina si è già messa in contatto con il suo legale per trovare una soluzione alternativa.

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