martedì 8 aprile 2014
Non soltanto reati, pregiudizi e intolleranza. I problemi di convivenza sono innegabili. La Ue indica gli assi fondamentali del piano di inclusione.
Rom, falso problema. Al centro la scuola di Marco Impagliazzo
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«Guardare al domani con speranza» è il tema scelto per la Giornata internazionale dei Rom, che si festeggia oggi. Ieri a Napoli i temi dell’appuntamento presentato dalla Comunità di Sant’Egidio. La città è considerata tra le più accoglienti ma, fedele alle sue contraddizioni, è stata teatro di gravi episodi di intolleranza, come l’incendio nel 2008 del campo rom nel quartiere di Ponticelli e, appena un mese fa, l’assalto da parte degli abitanti del quartiere di Poggioreale all’insediamento nomadi a via del Riposo. Il mondo Rom è complesso e articolato. Spesso, osserva Antonio Mattone, «rappresentato in modo semplicistico, problematico e solo in riferimento a fatti di cronaca». Non negando le difficoltà di convivenza, di integrazione e di inclusione, si tende quindi a mettere in luce quelli che qualche giorno fa il commissario europeo per la giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, Viviane Reding, ha definito «piccoli miracoli». I passi cioè che portano una società a riconoscere uguali tutti i suoi membri, nello scambio di cultura e di solidarietà.La nascita della Giornata internazionale dei Rom risale all’8 aprile 1971, quando a Londra si riunì il primo congresso mondiale dei rom che attraverso la fondazione dell’International romani union (Irm) specificò alcuni punti fermi, probabilmente gli unici: l’inno "Jelem Jelem", composto da Janko Jovanovic, e la bandiera a strisce orizzontali, azzurre e verdi, con la ruota di carro rossa, simbolo del viaggio. Anche se i numeri, per quanto di stima approssimativa, indicano come il nomadismo sia diventato collaterale più che perno della cultura rom. La maggior parte dei 140mila rom che vivono in Italia – sono 11 milioni e 260mila nei 47 paesi del Consiglio d’Europa – sono infatti stanziali oltre che cittadini italiani o comunitari. Solo una piccola parte dei Rom fuggiti dalla disgregazione della ex Jugoslavia manca di status giuridico. Roma, con 11.021 rom Napoli e l’hinterland; 4.500 rom, Milano, 2.500 rom, e Genova, 750 rom, sono le città italiane dove si registrano le maggiori presenze. Da considerare, annota l’esperto Paolo Ciani, che «caratteristica italiana è di avere sul territorio un gruppo di Sinti di antico insediamento, soprattutto al Nord». L’Italia, con altri Paesi europei, si contraddistingue anche per un’altra particolarità: le comunità rom non sono riconosciute come minoranza nazionale e furono anzi escluse nella discussione della legge sulle minoranze linguistiche, la 482 del 1999. L’Unione Europea ha individuato quattro assi fondamentali attraverso cui passano integrazione e inclusione dei Rom: occupazione, alloggio, assistenza sanitaria, accesso all’istruzione. Su quest’ultimo punto l’Italia sta compiendo grandi passi anche se non sufficienti, sottolinea Daniela Pompei, responsabile nazionale per i Rom della Comunità di Sant’Egidio, poiché «solo poco più di 11mila bambini frequentano». Eppure il 75% dei rom italiani ha meno di 15 anni. «Partire dai bambini e dalla scuola – dice – è invece una strategia vincente poiché è così che si includono le famiglie».
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