lunedì 8 aprile 2013
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Una minoranza piccola e ai margini in una società che corre veloce e non sa più che farsene degli antichi mestieri e nemmeno degli "zingari". Minoranza non riconosciuta, che la recessione ha fortemente colpito - i primi a venire licenziati sono loro - che vive segregata in campi spesso abusivi e distanti dai centri abitati, nei quali la povertà sta facendo crescere, oltre alle sofferenze, la devianza e l’emarginazione. Lunedì 8 aprile si celebra la giornata internazionale delle comunità rom, sinti e camminanti composta da 150mila persone ufficialmente presenti in Italia (altre stime dicono 170mila). Giornata che, secondo il ministro delle Pari opportunità Elsa Fornero, «non ha carattere celebrativo, ma rappresenta un’occasione simbolica e allo stesso tempo pratica, per permettere alle amministrazioni regionali e comunali di riflettere sulle modalità operative necessarie per dare piena attuazione alla strategia nazionale». Strategia d’integrazione che, però, è ben lungi dall’essere attuata in molte città, nonostante si stia parlando dello 0,25% della popolazione del paese mentre in Spagna e Francia le quote arrivano rispettivamente all’1,6 % e allo 0,5%. Anche l’Ue, dove ne vivono dai cinque ai sei milioni, tre quarti a rischio povertà, nonostante il Nobel per la pace, non fa molto.  La metà dei rom ha la cittadinanza italiana ed è organizzata in associazioni battagliere. Il presidente della Fondazione Romanì, Nazzareno Guarnieri, ad esempio, insiste molto sulla partecipazione e l’impegno mentre è allergico ai vittimismi. Il terzo settore negli ultimi anni sta facendo di più per sensibilizzare l’opinione pubblica. Il popolo del vento ha molti componenti di origine romena e balcanica, arrivati a ondate negli ultimi 20 anni sull’onda di guerre e crisi economiche, e un numero imprecisato di apolidi. Solo il tre per cento è costituito da gruppi itineranti, quindi chi li chiama nomadi sbaglia e non per una questione di politicamente corretto. Circa 40.000 persone vivono in campi a rischio di sgombero forzato. Solo negli ultimi sei anni, denuncia Amnesty International, a Roma e a Milano di sgomberi ne sono stati eseguiti oltre mille, quasi uno al giorno. Un problema anche nostrano è il razzismo: metà degli italiani afferma sinceramente in una ricerca condotta nel 2012 dalla milanese Casa della carità che la società non trarrebbe benefici da una migliore integrazione dei rom. Lo stesso studio rileva che metà dei rom intervistati ha dichiarato di essere stato discriminato o trattato male a causa della sua etnia. E altrettanti si sono sentiti discriminati da personale dei servizi pubblici, il 67 in luoghi pubblici, il 34 mentre era alla ricerca di un impiego, il 21% sul luogo lavoro. Perché più di un terzo lavora, ma solo il 7% con contratto a tempo pieno e indeterminato. I rom italiani sono presenti da circa 600 anni in tutte le regioni della Penisola. Le comunità più consistenti sono i rom abruzzesi e meridionali mentre i sinti vivono nelle regioni centro-settentrionali. Perlopiù sono giostrai, baristi, allevatori di bestiame raccoglitori di rottami ferrosi. Nell’ultimo decennio, secondo l’Opera nomadi almeno 5mila rom kosovari e macedoni hanno lasciato Sicilia, Calabria e Puglia per migrare in Francia, Germania, Olanda e Belgio dove hanno trovato un welfare più accogliente. Un terzo di rom e sinti risiede in case di proprietà o in affitto, ma due terzi vivono in insediamenti destinati esclusivamente alle loro etnie e solo il 41% in campi regolari. Scelte giustificate con esigenze di ordine pubblico, perché nessuno (anche a ragione) vuole un campo rom abusivo o regolare sotto casa. Infatti l’Europa ci ha chiesto di superare per sempre il concetto. La ricerca milanese conferma che il 46% dei rom che vivono in una casa è occupato mentre tra gli abitanti degli insediamenti irregolari la percentuale scende al 24. La vita nei campi penalizza anche la frequenza scolastica per il rischio sgomberi e per le condizioni igieniche. Se un terzo di rom e sinti non possiede titoli di studio e solo il 5% ha concluso gli studi superiori, tra le famiglie che vivono all’interno di campi irregolari il 23% presenta minori non scolarizzati, valore che scende al 12% per le famiglie residenti in insediamenti regolari e arriva al 7% per chi vive in casa. Per voltare pagina bisogna superare i campi.
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