venerdì 31 marzo 2023
Il sindaco: siamo stati abbandonati. Annunciato un raddoppio dei posti letto, ma non basta. Il vescovo Oliva: è un fenomeno strutturale
Istantanee dal porto di Roccella dove mercoledì sera i migranti erano in fila per il cibo

Istantanee dal porto di Roccella dove mercoledì sera i migranti erano in fila per il cibo - .

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Raddoppio della tensostruttura nel porto di Roccella Jonica, da 200 a 400 posti, miglioramento dei servizi, potenziamento della vigilanza, un sempre maggior coinvolgimento dei Comuni della Locride. È quanto emerso nell’incontro a Siderno tra il prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani e i sindaci del territorio. Una importante risposta, almeno a livello locale, alla forte crescita di arrivi in Calabria, in particolare i tre barconi con 1.500 persone arrivati dalla Cirenaica lo scorso fine settimana a Roccella Jonica. Arrivi che hanno messo in difficoltà il sistema di accoglienza.

Di questi sono ancora presenti 600, dei quali 250 nella tensostruttura, 145 nel palazzetto dello sport sempre di Roccella, 70 in quello di Ardore, 151 a Caulonia, 60 a Stilo e 33 in una ex scuola di Portigliola, ai quali si aggiunge Siderno. È il modello dell’accoglienza diffusa, del sostegno reciproco, sul quale il prefetto sta puntando, per non lasciare sola Roccella. Ai Comuni potrebbe aggiungersi presto la Diocesi di Locri-Gerace, il cui vescovo, don Franco Oliva, ha incontrato ieri il prefetto per offrire una struttura a Riace, che già in passato ha ospitato minori non accompagnati. Se ne parlerà dopo Pasqua. Basteranno questi interventi? Il sindaco di Roccella Jonica, Vittorio Zito, che è solito avere toni pacati, lancia un ultimatum. « Do una settimana di tempo per avere risposte certe dal governo. Poi farò in modo che mi ascoltino». È la minaccia di qualche «gesto forte, perché ci sentiamo abbandonati ». Precisa di non avercela col prefetto «che ci sta aiutando in tutti i modi, ma i suoi uomini sono al limite della rottura». Che la situazione sia davvero così, lo abbiamo toccato con mano al “Porto delle grazie” di Roccella dove siamo entrati accompagnati dai volontari della Caritas diocesana. La tensostruttura è assolutamente insufficiente, e così i 2 bagni (più 3 provvisori) e le 2 docce. Quando piove l’acqua penetra e di giorno le brandine e le coperte devono essere messe fuori ad asciugare.

Non c’è riscaldamento, e qui in riva al mare la notte fa molto freddo. Le coperte non bastano e così alcuni immigrati la sera di mercoledì hanno acceso un fuoco all’interno bruciando pezzi di plastica. Una situazione ad altissimo pericolo, sia per i fumi tossici, sia per il rischio che prendesse fuoco il tendone. Per fortuna se ne sono accorti i due poliziotti presenti e i volontari della Caritas che stavano distribuendo altre coperte. E anche cibo. « Avevano fame - ci dice la direttrice, Carmen Bagalà -. Per fortuna avevamo in auto dei pacchi di cracker che hanno molto gradito. Dopo aver mangiato ci hanno ridato indietro quelli avanzati, dicendo di portarli agli altri».

Ma il problema dei pasti è evidente. Arrivano da Lamezia Terme, 120 chilometri di distanza, ed è cibo che gli immigrati gradiscono poco, non certo perché schizzinosi. Si mettono in fila, con le coperte addosso, ma poi molto cibo avanza. Ecco perché poi la sera hanno fame. E, infatti, giovedì dopo le 22 siamo tornati al porto con la Caritas e gli scout per portare i datteri che sicuramente sono molto graditi, soprattutto durante il Ramadan. Una situazione che denuncia anche il vescovo che ha visitato il porto martedì, il giorno dopo l’arrivo del peschereccio con 650 persone. Ha girato tra loro, accompagnato dai volontari, si è informato. E alla fine ha alzato la voce, lui che solitamente non lo fa mai. «C’erano mucchi di rifiuti anche nel tendone, i bagni sporchi e pieni d’acqua. Condizioni igienico-sanitarie inaccettabili. Ma un sindaco da solo non può affrontare queste situazioni, serve una “sveglia” istituzionale». Poi riflette sul fenomeno migratorio. «Questa è un’umanità sofferente che cerca un futuro altrove, con grandi rischi come abbiamo visto a Cutro. Un’umanità che dobbiamo sentire nostra. Non si può parlare di emergenza ma di fenomeno strutturale che però va gestito bene. Non deve essere un’accoglienza improvvisata o che nasconda interessi d’altro tipo». Come in tanti altri luoghi la Chiesa è in prima linea coi volontari, i mediatori culturali (preziosissimi), e fondi. Ma serve altro, molto altro, perché siamo solo a marzo e gli arrivi in Calabria sono più del doppio dell’anno scorso.

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