venerdì 22 novembre 2019
Per la prima volta su Rousseau la base sconfessa, col 70%, i vertici sulla linea da seguire (anche in Calabria). Di Maio: mandato è chiaro, siamo terza via, faremo liste da soli
Rivolta 5s anti-Di Maio: sì a Regionali. E nel Pd scatta l'allarme per l'Emilia
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La desistenza in salsa pentastellata viene bocciata dalla base. Una bocciatura anche sonora. Niente «pausa elettorale», sì invece alla presentazione delle liste in Emilia Romagna e Calabria. La piattaforma Rousseau per la prima volta decide contro la linea (sia pur ufficiosa, in questo caso) della leadership. Il M5s avrà suoi candidati, così ha scelto il 70,6%, contro il 29,4. La pausa bocciata era stata presentata come funzionale al superamento di una difficoltà che ormai nessuno si nasconde più, ma - dopo il fallimento della convergenza con il Pd in Umbria - voleva essere anche un modo, implicitamente, per giovare alle chance concrete di vittoria del candidato degli alleati di governo, Stefano Bonaccini. Il 'no' ha ottenuto 19.248 voti; il 'sì', invece, si è fermato a 8.025 preferenze. In un colpo solo viene ulteriormente indebolita sia la leadership di Luigi Di Maio, sia la stessa alleanza di governo, con il Pd che, in un silenzio imbarazzato ed eloquente, si ritrova un alleato come concorrente in più nella corsa già problematica sfida con il centrodestra. Prontissima e chiarissima la replica di Matteo Salvini: «I militanti 5Stelle hanno sfiduciato Di Maio e Grillo, e con loro il governo contro natura col Pd. Le porte della Lega sono aperte a chi vuole davvero il cambiamento», è la risposta che aveva già pronta il capo della Lega.

Quando le previsioni fosche iniziavano a manifestarsi, Di Maio aveva buttato le mani avanti: «Preferisco non votare ma chiedere al Movimento quale sia la direzione da prendere». Un’affermazione che però non era in grado di lenire gli attacchi della base al quesito, per come formulato, e per aver ammesso al voto i militanti di tutte le regioni, come per neutralizzare la prevedibile voglia degli emiliano-romagnoli di non ammainare bandiera. A complicare le cose erano arrivate le dimissioni in polemica del coordinatore calabrese Paolo Parentela. «A questo post abbiamo lavorato io, Beppe Grillo, Davide Casaleggio e tutti quelli che hanno sulle spalle le responsabilità del Movimento», si era sentito in dovere di precisare il ministro degli Esteri e capo politico M5s.

Ma il risultato apre ora anche una resa dei conti interna, con l’ex ministro Danilo Toninelli, che a pochi minuti dall’ufficializzazione dell’esito, avendone già il sentore, aveva messo 'a verbale' su Twitter: «Ho votato perché si può tornare a sognare e programmare il futuro sotto le 5 stelle con una quanto mai doverosa e urgente rivoluzione esterna ed interna, anche partecipando alle elezioni regionali».

Grillo oggi dovrebbe essere a Roma per cercare una mediazione e 'pacificare' il Movimento. Operazione complicata. Perché i veleni si assommano ad altri veleni, e c’è chi accredita l’idea che dietro questa clamorosa bocciatura - senza precedenti - della linea imposta dal capo si nasconda in realtà una spaccatura del triumvirato che regge le sorti del malandato Movimento, con Davide Casaleggio che potrebbe aver orientato la piattaforma in questa direzione proprio allo scopo di sabotare la leadership di Di Maio. Il leader prova a reggere l’urto. «Avanti come un treno, il M5S è la terza via, l’alternativa ai due poli», dice Di Maio. «Il momento di debolezza del M5s è conclamato, e richiede un momento di discussione come quella che avremo a marzo », aveva provato a prendere tempo il viceministro dello Sviluppo Stefano Buffagni. Ma il tempo è poco. Un Movimento così sconquassato non può aspettare la primavera.

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