mercoledì 15 dicembre 2010
In Calabria tre disabili rischiano di restare senza assistenza. E scrivono al presidente Scopelliti: «Così ci togliete la dignità». Oggi la Regione deciderà se rifinanziare il progetto "Abitare in autonomia", che da otto anni consente ai malati gravi e a chi non si può muovere da casa di sopravvivere con dignità. Se no scadrà il 31 dicembre.
COMMENTA E CONDIVIDI
«Noi signor presidente vogliamo vivere». Così scrivono Rita, Franco e Mimmo, tre disabili gravi, affetti da malattie progressive, in una lettera al presidente della regione Calabria, Giuseppe Scopelliti. Un vero e proprio appello per poter continuare a vivere con dignità. Il 31 dicembre, scade, infatti, il progetto "Abitare in autonomia" che, scrivono, «da 8 anni ci consente di condurre con un minimo di dignità la nostra “disagiata” esistenza».I fratelli Franco e Mimmo Rocca di Tiriolo (di Mimmo riportiamo a parte una lunga testimonianza) sono ammalati di amiotrofia spinale, Rita Barbuto (abita a Lamezia Terme) di distrofia muscolare. Ormai adulti, senza famiglia o con genitori anziani, hanno bisogno di un assistenza continua. Il progetto "Abitare in autonomia", è gestito dalla Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme, e finanziato dalla Regione. Lo hanno fatto tutte le giunte, sia di centrodestra che di centrosinistra. Fino ad ora. Ed è qui il pericolo. Perché l’attuale amministrazione regionale non ha ancora preso impegni concreti per far proseguire questa preziosa esperienza di assistenza a domicilio: la decisione, con ogni probabilità, arriverà proprio oggi. «A tutti noi – scrivono Rita, Franco e Mimmo – questo progetto ha dato la possibilità di espletare gli atti quotidiani della vita, di avere relazioni sociali e personali, di lavorare, di impegnarci a capo fitto nel mondo della disabilità, soprattutto nella tutela dei diritti e nella lotta alla discriminazione, di fare volontariato addirittura nella Protezione civile (vedi altro articolo, ndr), di frequentare centri di fisioterapia e servizi sanitari necessari per la nostra condizione di disabilità, se non addirittura per mantenerci in vita. Perché noi, signor Presidente, vogliamo vivere!».Il servizio è stato già ridotto a 36 ore settimanali, mentre, ricordano i tre disabili, «avremmo bisogno di assistenza continua, perché siamo affetti da malattie neuromuscolari gravi». Ma è sempre meglio di niente, soprattutto grazie allo spirito di collaborazione degli otto operatori, molti dei quali ex tossicodipendenti, e anche questo è un elemento qualificante. Efficienza ma anche economicità. Infatti, sottolineano Rita, Franco e Mimmo, «se noi fossimo relegati in una qualsivoglia struttura assistenziale, i costi del ricovero sarebbero di gran lunga superiori (più del doppio) di quelli sostenuto dalla Regione per questo progetto». Cifra chiarissime: 153 euro al giorno, contro appena 70.Ora che si avvicina la data di scadenza, denunciano i tre disabili, «attraversiamo un periodo di profonda preoccupazione perché temiamo per la continuazione del servizio e per gli effetti inumani che provocherebbe la sua interruzione o soppressione». Per questo si rivolgono al presidente regionale, perché «ci tolga dall’angoscia di dover sempre lottare per mantenere in piedi questo progetto». La proposta è, dunque, quella di «stabilizzare questa iniziativa che dopo otto anni non può più essere considerata sperimentale».I tre ricordano ancora, «anche se è umiliante», che «viviamo con le provvidenze economiche erogate agli invalidi civili e con quelle manteniamo la casa e sopperiamo a tutte le spese del vivere quotidiano, per cui non possiamo nemmeno pensare di pagarci la nostra assistenza». E allora la conclusione è davvero drammatica: «La sola interruzione di questo servizio per noi significherebbe la fine. Chi ci alzerà dal letto la mattina? Chi ci porterà al bagno? Chi ci laverà? E per mangiare, come faremo? E se non potremo più fare fisioterapia, rischieremo il peggioramento irreversibile delle condizioni fisiche residuali, se non addirittura il mantenimento della capacità respiratoria». Di qui l’ultimo, commovente appello. «Vorremmo che il 1 gennaio 2011 ci fosse ancora qualcuno che venisse ad alzarci, vestirci, aiutarci nei nostri bisogni...», per evitare esiti drammatici. Tocca alla Regione una concreta e rapida risposta. Rita, Franco e Mimmo la attendono.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: