mercoledì 30 agosto 2017
Gori (Alleanza per la povertà): per la prima volta il nostro Paese ha uno strumento strutturale
Gori: «Risultato storico, ma mancano 5 miliardi»
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Un risultato storico, una grande opportunità per costruire un paese che non lasci indietro nessuno. Ma per non trasformare il reddito di inclusione in una riforma incompiuta serve uno sforzo in più. Economico. Servirebbero sette miliardi l’anno ma sul piatto ce ne sono poco meno di due. E il rischio è che solo un terzo dei potenziali beneficiari riesca ad aggiudicarsi l’assegno. Non a caso sono stati fissati dei criteri per tutelare i nuclei con figli minorenni, disabili, donne in gravidanza e disoccupati over50. Cristiano Gori, coordinatore scientifico di Alleanza contro la povertà (formata da 35 realtà dall’Acli alla Caritas, da Sant’Egidio ai sindacati confederali che dal 2013 si battono per l’introduzione di misure contro la povertà) è convinto che si possano fare passi avanti.

Il reddito di inclusione adesso è realtà, siete soddisfatti?
Sì. È un risultato storico. Per la prima volta in Italia c’è una misura strutturale, nazionale e significativa contro la povertà assoluta. Dopo decenni di assenza totale della politica si taglia un traguardo importante.

Il tasto dolente sono i finanziamenti, saranno sufficienti?
L’Italia sconta un ritardo strutturale, accumulato negli anni. I finanziamenti al momento sono insufficienti: 1,759 milioni per il 2018 e 1,845 per il 2019. Studi in materia dicono che servirebbero sette miliardi all’anno. All’appello ne mancano cinque.

Questo significa che non tutti coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà potranno ricevere l’assegno?

La misura ad oggi coinvolge un povero su tre, circa 1,8 milioni a fronte dei 4,8 stimati dall’Istat, e con importi inadeguati perché troppo bassi. Il ReI dovrebbe coprire il gap tra il proprio livello di povertà e il reddito minimo per una vita dignitosa, ma sarà difficile che questo avvenga.

Cosa bisognerebbe fare per rendere davvero efficace il reddito di inclusione?
Proporremo al governo un piano triennale 2018-2020 da inserire nella manovra che progressivamente rafforzi la misura in modo da renderla più capillare. Su ampiezza della platea dei beneficiari, consistenza del contributo e percorsi inclusivi si possono fare passi avanti, ma servono maggiori finanziamenti.

Si è scelto di dare priorità ai nuclei con figli minori, cosa significa in pratica?
Anche se si è data priorità alle famiglie con minori, questo non significa che tutte riceveranno il contributo ma ci sarà sempre una mediazione che terrà conto del reddito e del numero dei familiari. I parametri previsti dalla legge sono più restrittivi di quelli dell’Istat sulla povertà assoluta e in ogni caso in Italia sono le famiglie con bimbi piccoli in maggiore sofferenza, mentre gli anziani in linea di massima stanno meglio.

Le misure contro la povertà prevedono anche piani di reinserimento sociale e lavorativo, come funzioneranno?

Saranno affidate ai Comuni e ai centri per l’impiego con finanziamenti specifici. Su questo fronte l’Italia ha molta strada da fare perché le politiche per il sostegno all’occupazione non sono mai state il nostro forte. É un’altra scommessa da vincere.

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