giovedì 10 dicembre 2020
L’ultimo esempio è dello scorso anno: con il ‘Proteggi Italia’ sono stati stanziati tre miliardi per il 2019, ne sono stati utilizzati solo 315 milioni. Intanto la popolazione ne paga le conseguenze
Ennesimo crollo

Ennesimo crollo - Ansa

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Allarmi meteo e poi danni uno dietro l’altro. L’ultimo quattro giorni fa: “Allerta rossa in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Provincia Autonoma di Bolzano. Ancora piogge e venti forti in Campania, Basilicata e Calabria”, avvertiva la Protezione civile. Mentre “si stimano alcune centinaia di milioni di euro di danni alle produzioni e ai mezzi agricoli sommersi dall’acqua”, dice Cristiano Fini presidente di Cia Emilia Romagna, per l’esondazione del Panaro nel modenese. Tutto quanto e dappertutto sempre prevedibile, anzi previsto: cominciamo da vent’anni fa.

Nel 2000 il ministro dell’Ambiente classifica 1.100 comuni “a rischio idrogeologico molto elevato”. Ma è appena un inizio. Poco meno di vent’anni fa, agosto 2002, Legambiente definisce quello italiano “un territorio massacrato dalle speculazioni, dall’abusivismo, dalle cave e dalle discariche abusive”, titolando così il suo ‘Dossier sul dissesto idrogeologico’. E raccontando “una situazione che mette in evidenza la scelleratezza della gestione del territorio e dello sviluppo urbano”. Non è cambiato granché dopo, anzi. Così è inevitabile che appena un po’ di pioggia in più metta diversa gente nei guai. Stessa storia con le frane, tenuto conto che i due terzi di quelle europee avvengono in Italia.

Ennesima voragine

Ennesima voragine - Ansa

Arriviamo al 2010, anche il Consiglio nazionale dei geologi lancia l’allarme: “L’esposizione al rischio idrogeomorfologico dal 2008 a oggi è aumentata, la superficie delle aree ad alta o altissima pericolosità geomorfologica/idraulica è passata dal 9,8% al 15,8% del territorio nazionale”. Un aumento dovuto “all’errore di considerare ‘in sicurezza’ zone nelle quali sono stati realizzati interventi di difesa del suolo e per questo aumentare il carico urbanistico”.

Morale? “Nel nostro Paese il rischio di frane e alluvioni è particolarmente rilevante e risulta avere un elevatissimo impatto sociale ed economico - vanno avanti i geologi -. Sempre più spesso è l’uomo artefice o concausa dei fenomeni di dissesto, ma ne è anche la principale vittima, e quindi si impone con urgenza di avviare, a tutti i livelli, adeguate azioni di previsione, prevenzione e mitigazione del rischio”.

Cinque anni fa racconta il Rapporto 2015 sul ‘Dissesto idrogeologico in Italia’ dell’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale) che i Comuni con aree ad alta e molto alta pericolosità di frana e alluvione sono 7.145, cioè l’88,3 per cento di quelli italiani. E che la superficie delle aree classificate con elevata e molto elevata pericolosità da frana e alluvione in Italia ammonta complessivamente a 47.747 chilometri quadrati (il 15,8% del territorio nazionale).

L’anno seguente, il 2016, il nuovo Rapporto Ispra annota che sono sette milioni gli italiani che vivono in comuni a rischio frane e alluvioni. E certifica che in sette Regioni ci sono comuni a rischio idrogeologico del cento per cento: Valle D’Aosta, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Molise e Basilicata.

Veniamo ai giorni nostri. Un mese fa, lo scorso 17 novembre, l’Ispra, nell’audizione in Commissione ambiente e lavori pubblici, fa sapere che a elevato e molto elevato rischio idrogeologico sono 50.177 chilometri quadrati, cioè il 16,6% del territorio, percentuale che sale al 30% “se consideriamo tutte le classi di pericolosità per frane e alluvioni”. Già che c’è, aggiorna anche gli altri dati: “Il 91,1% dei comuni è a rischio frane e/o alluvioni. Sono 1.281.970 gli abitanti a rischio frane e 6.183.364 quelli a rischio alluvioni”. Ancora: “Industrie e servizi in aree a pericolosità elevata e molto elevata sono quasi 83mila, mentre sono 596.254 i a pericolo di inondazione”.

Ennesima alluvione

Ennesima alluvione - Ansa

Lo scorso 4 novembre l’Anci, sempre in audizione alla Camera, sottolinea come “dal 1998 al 2018 siano stati spesi circa 20 miliardi per i danni provocati dal dissesto, mentre circa 5,6 sono stati spesi per progettazione e realizzazione di opere di prevenzione”. Spiegando che le caratteristiche antropomorfiche che rendono fragile il nostro territorio sono note, ma “è stato determinante anche il fattore antropico”, sarebbe a dire “l’abusivismo edilizio, i vecchi piani urbanistici ‘avventati’, il progressivo abbandono delle terre e delle attività agricole, la mancata cura degli alvei e dei corsi d’acqua e l’occupazione di quelli in pianura con costruzioni anche in aree golenali (cioè zone a ridosso del letto di magra di un corso d'acqua che vengono sommerse quando le acque si alzano) ”.

Infine il capitolo quattrini, per certi versi più stupefacente. Stando all’Agenzia per la coesione territoriale, dal 2007 a oggi le Regioni hanno speso circa 320 milioni di euro del miliardo e 600 messi a disposizione. Passo indietro: nel 2014 il governo nomina i presidente delle Regioni anche commissari straordinari di governo per la mitigazione del dissesto idrogeologico. Non solo, a loro tocca gestire - in contabilità speciale - i fondi destinati dal ministero dell’Ambiente per realizzare gli interventi programmati. E dei nove miliardi e mezzo messi a disposizione con quel piano ‘ItaliaSicura’, appunto del 2014, ne sono stati spesi tre.

Ultima annotazione. Lo scorso anno con il ‘Proteggi Italia’ sono stati stanziati dieci miliardi e 853 milioni per il triennio 2019/2021, dei quali tre per lo stesso 2019: ne sono stati spesi 315 milioni (per 263 progetti esecutivi di tutela del territorio dal dissesto idrogeologico). Nel frattempo, appunto, allarmi meteo e poi danni si ripetono da anni uno dietro l’altro. E stavolta nemmeno siamo ancora in inverno…

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