domenica 4 aprile 2010
Le celebrazioni pasquali hanno avuto un significato speciale nel capoluogo abruzzese che si prepara a ricordare il primo anniversario dopo il devastante terremoto che causò oltre 300 morti e migliaia di feriti La speranza del futuro si mescolerà al dolore di quei giorni.
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Non si può capirla, solo ascoltarla. I suoi ventiquattro anni non bastano a spiegare la cocciutaggine con cui non ha mollato gli studi e si sottopone a lunghissime sedute di fisioterapia. La stessa devozione per San Gabriele, ben radicata sulle colline teramane, prorompe da questa ragazza con l’entusiasmo di chi è rinato nella fede. In effetti, un anno fa, Marta è uscita viva da un sepolcro.Sei aprile 2009 all’Aquila. Ventitre ore dopo il terremoto un gruppo di speleologi la libera da una prigione di vetri e calcinacci. Fino alle 3 e 32 Marta Valente abitava in via Generale Francesco Rossi, in centro storico. Il palazzo si è accasciato su di lei e su tanti altri studenti pochi istanti dopo la scossa. «Mi sono trovata sotto una trave, paralizzata e coperta di polvere – ricorda, incontrandoci nella villetta di famiglia, alle porte di Bisenti, in provincia di Teramo –. Ho chiamato le mie amiche ma ho sentito solo la voce di Serena, strozzata». Serena e Federica non ci sono più. Anche l’altra coinquilina, Ivana, è fra le 308 vittime del sisma. Il loro ricordo, come quello di tanti studenti uccisi dal terremoto è stato inghiottito in un generico cordoglio. Marta non ci sta: «Non è giusto, ogni vita spezzata da questo terremoto va ricordata. Si parla tanto della Casa dello studente ed è giusto, c’è un’inchiesta in corso, ma degli altri stabili, crollati anche facendo più vittime, si parla meno: nel mio palazzo sono morte 18 persone; 13 erano studenti». Marta, la sopravvissuta. Fortunata e legata per sempre ai suoi tre angeli, come ricorda le amiche perdute, e a tutti gli altri ragazzi scomparsi sotto le pietre dell’Aquila. Ha scritto un libro, “Una vita oltre le macerie” (edizioni Stauròs) nel quale non lascia nulla all’immaginazione. Racconta del “nemico” che arriva di notte «e non c’è il tempo di mettersi sotto la scrivania, come ci insegnavano a scuola»; del «cuore che batte all’impazzata»; dell’istinto di sopravvivenza, quando scopri che «tutto sommato il dolore non è così lancinante, forse ce la posso fare. Devo solo trovare il modo di continuare a respirare, forse qualcuno là fuori mi sentirà». Per lei è stato vero.Sfogliamo il libro insieme. È il diario di una rinascita, di un nuovo parto. Marta è stata letteralmente strappata al ventre di una città che si è inghiottita i sogni di tanti: «È incredibile – mormora – che si muoia proprio mentre si insegue il sogno della vita». La quale, certo, può e deve continuare: «A un anno dalla tragedia le difficoltà di noi studenti sono ancora tante, anche se l’università cerca di agevolarci accorpando le lezioni in poche giornate settimanali con orari pienissimi. Viaggiare quotidianamente è tanto pesante». A ventiquattro anni, neanche il terremoto seppellisce la voglia di un futuro normale: «Penso che uno studente, oltre lo studio, debba avere una vita sociale, dei punti di incontro; ora L’Aquila non li offre, tuttavia noi ce la mettiamo tutta perché questa città non muoia: levatacce, chilometri, ore di studio, si accettano le sistemazioni che ci sono. Quando chiediamo una città universitaria vivibile non pretendiamo la luna, cerchiamo solo di vivere i nostri anni più belli in un contesto accogliente. Perché noi – sbotta – vogliamo bene all’Aquila».Bisenti è uno dei "borghi fiorenti" cantati da D’Annunzio, un paesino in cui tutti si conoscono e dove, quando cammini, tutti ti fissano. Non dev’essere facile per una “sopravvissuta”. Per Marta non lo è. «Mi chiedi cosa provo a sopravvivere? A 24 anni un’esperienza del genere è inimmaginabile, che non ti aspetteresti di provare neppure nel peggiore incubo. Il perché proprio io sono ancora qui non lo so, ma è l’essere sopravvissuta da sola, senza le amiche di sempre che spesso mi da la forza di andare avanti e di lottare per riprendere quella vita che si è fermata temporaneamente ma non interrotta del tutto». È cristiana, non crede al destino - si limita a registrare che «essere salvi per una trave, un caso o cosa, è una situazione strana» - ma alle preghiere imparata da bambina e alle quali, là sotto, si è aggrappata per resistere. «Sono sempre stata credente ma ora – spiega – è tutto diverso. Ora le fede assume un significato che prima non apprezzavo. La preghiera dello studente di San Gabriele la sento mia».
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