sabato 28 novembre 2020
Il Quirinale: un rischio aprire trattative sui ministri dagli esiti imprevedibili. E Conte concede una «cabina allargata» sul Recovery per allontanare la crisi
Il ministro dell’economia Roberto Gualtieri con il premier Giuseppe Conte

Il ministro dell’economia Roberto Gualtieri con il premier Giuseppe Conte - Ansa / Ufficio stampa Palazzo Chigi / Filippo Attili

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Una giornata alquanto surreale nei Palazzi romani. Accompagnata da un rumore di fondo, chiamato «rimpasto», che però tutti hanno smentito. Il premier, cui è stata attribuita una trattativa per sostituire ministri. Renzi, cui è stato cucito addosso il vestito di principale negoziatore. Orlando, vicesegretario del Pd, cui è stato affidato, in serata, l’ingrato compito di smentire l’ispiratore della "crisi pilotata", quel Goffredo Bettini considerato il principale consigliere di Nicola Zingaretti.

Si tratta, soprattutto, di scenari mai sinora rappresentati in modo ufficiale al Colle da nessun leader politico. Il Quirinale, in ogni caso, avrebbe già dei paletti ben definiti: nel momento in cui i ministri cambiati fossero più di uno, un voto di fiducia sarebbe ineludibile. E in generale, il Colle considera rischiosa una trattativa sui ministeri che potrebbe non chiudersi velocemente, esponendo il governo a un indebolimento - anziché rafforzamento - della compagine, a un effetto non prevedibile sui numeri parlamentari e all’incomprensione dell’opinione pubblica. Malcontenti personali e di partito potrebbero incidere anche sullo stesso voto di fiducia, specie se dovesse diventare decisivo il "soccorso" di Forza Italia. Inutile poi dire che se nella trattativa entrasse la figura del presidente del Consiglio i partiti dovrebbero assumersi per intero la responsabilità di una crisi formale con la liturgia delle consultazioni e una tempistica che fa a pugni con la situazione emergenziale. Una corposa frenata, insomma.

Ovviamente i problemi in maggioranza esistono davvero. Il Recovery fund, con i suoi 209 miliardi, è al centro di tensioni fortissime. E il vertice tra il premier e i capidelegazione di ieri pomeriggio ha portato, dopo molte ore, a un accordo che vede partiti e ministri rientrare in modo centrale nella «cabina di regia». Lo schema è molto articolato. Da un lato il già esistente Comitato interministeriale affari europei, guidato dal ministro Enzo Amendola che manterrebbe l’interlocuzione istituzionale con Bruxelles.

Dall’altro un «organo politico» composto dal premier Conte, dal ministro dell’Economia Gualtieri e dal ministro dello Sviluppo economico Patuanelli. In mezzo, un «comitato esecutivo - struttura di missione» costituito da manager, probabilmente sei, come sei sarebbero gli obiettivi strategici del Recovery. I manager avrebbero anche poteri sostitutivi rispetto ai soggetti attuatori dei progetti e sarebbero coadiuvati da una task force di 300 persone. A spanne, sembrerebbe che partiti e ministri abbiano costretto Conte a cedere rispetto all’intenzione originaria di accentrare tutto su Palazzo Chigi. Questo assetto, infine, dovrebbe confluire nella legge di Bilancio con un emendamento ad hoc.

Roma deve fare in fretta, anche perché Bruxelles freme. Ieri la presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, intervenendo all’inaugurazione dell’anno accademico della Bocconi, è stata netta: arriverà «un’ondata di investimenti pubblici senza precedenti per l’economia italiana», ma sarà un successo «solo se l’Italia farà la sua parte» con «riforme giuste» e «un approccio strategico agli investimenti».

Le tensioni durante il vertice di governo di ieri sono emerse anche quando si è parlato del passaggio parlamentare del 9 dicembre in cui la maggioranza dovrà dare mandato a Conte di "approvare" al Consiglio Ue la riforma del Mes. La riforma del Mes è altro dall’accesso al prestito sanitario, ma M5s ieri avrebbe chiesto di esplicitare, insieme al «sì» alla riforma, anche il definitivo «no» al prestito. Pd e Iv sono insorti. Alla fine è arrivata la tregua: la riforma andrà avanti, sul prestito resta l’impegno di Conte e Gualtieri ad evitarlo sino a quando i conti pubblici non ne avranno un bisogno ineludibile.

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