venerdì 3 febbraio 2012
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Dal 1994 a oggi ammontano a una cifra pari a oltre due miliardi di euro (2.253 milioni per la precisione) i pubblici denari che sono stati messi a disposizione dei partiti per le spese elettorali. A fronte, però, di una spesa effettiva degli stessi pari a poco meno di un quarto dei contributi statali: 470 milioni circa. Solo nell’ultima legislatura (iniziata nel 2008) sono arrivati rimborsi che alla scadenza (2013) saranno pari a un miliardo, alla fine. Senza contare la pioggia di finanziamenti che vanno a fondazioni e giornali di partito. E ai versamenti che gli stessi eletti, poi, girano nelle casse delle rispettive sigle di appartenenza (si stima che con i versamenti anche dei consiglieri regionali arrivino nelle casse dei gruppi politici circa 75 milioni all’anno). Si aggiungono le donazioni, che - grazie alla normativa vigente - possono restare anonime fino a 50mila euro. Un caso a sé - plasticamente emerso dalla vicenda che coinvolge il tesoriere della Margherita Luigi Lusi - è rappresentato dal mezzo miliardo circa che negli ultimi cinque anni hanno incassato partiti non più esistenti, ma ancora dotati di patrimoni immobiliari e di dipendenti. È un ginepraio, nel quale è difficile districarsi, vista la quantità di sigle ormai esistenti. Ma la questione non riguarda solo il passato. Anche i partiti rappresentati al momento in Parlamento hanno attinto nel 2011 a vario titolo dalle casse statali oltre 200 milioni. Tutti, anche le sigle non più esistenti come, appunto, la Margherita, hanno poi beneficiato fino al 2010 di una norma contenuta nel Milleproroghe del 2006, che prevedeva il rimborso anche in caso di chiusura anticipata della legislatura. La norma è stata, poi, corretta la scorsa estate da Tremonti. «Quello che viene definito un contributo per il rimborso delle spese elettorali in realtà è un vero e proprio finanziamento», ha ammonito non a caso di recente la Corte dei Conti. Organismo al quale alcune proposte di legge - oltre a prevedere la pubblicazione degli statuti sulla Gazzetta ufficiale - intendono affidare, grazie a un’apposita sezione, la vigilanza sui bilanci dei partiti. Di fatto, una delle anomalie italiane sta proprio nel fatto che la certificazione degli stessi non è affidata a soggetti riconosciuti. Al momento non possono farlo né la magistratura ordinaria, né quella contabile, tantomeno qualsivoglia autohority.
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