mercoledì 1 giugno 2016
Parla Daniela di Capua, direttore del Servizio Centrale dello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Una ricetta che funziona 
«Più Sprar, modello vincente d'integrazione»
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C'è un acronimo che per anni è rimasto relegato quasi esclusivamente alla sfera degli addetti ai lavori. Ma che, negli ultimi mesi, si è affacciato sempre più spesso sui giornali e ai tg. Si tratta dello “Sprar”, ovvero Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Quattro lettere che sintetizzano un modello di accoglienza diffuso sul territorio. Un sistema trasparente e relativamente poco costoso, capace però di offrire servizi e un buon livello di integrazione ai profughi giunti in Italia. “Un'accoglienza basata su piccoli numeri non provoca reazioni negative da parte delle comunità locali - spiega Daniela di Capua, direttore del Servizio Centrale dello Sprar - perché la gente non si spaventa. Molto raramente abbiamo avuto episodi di rifiuto o proteste”.
 
Quante sono le persone accolte? I progetti attivati sono 485 e mettono a disposizione 22.139 posti, tutti occupati. Di questi, 1.852 sono riservati ai minori stranieri non accompagnati, mentre 280 posti sono per persone con disagio mentale o gravi patologie fisiche.
 
E quali sono gli obiettivi dello Sprar?
Lo Sprar accoglie prioritariamente quelle persone che hanno già ottenuto lo status di rifugiato, la protezione umanitaria o la protezione sussidiaria, ma non è esclusa l’accoglienza dei richiedenti asilo. L'obiettitvo è completare il percorso di accoglienza finalizzato all'integrazione attraverso l'apprendimento dell'italiano e la formazione professionale. Le linee guida prevedono un tempo di accoglienza di sei mesi dal momento del riconoscimento di una forma di protezione, più eventuali proroghe motivate.
 
Quali sono i costi e chi li sostiene? La media è di 35 euro al giorno per ogni ospite. A questo costo partecipano sia il ministero dell'Interno, sia il Comune con una quota minima fissata al 20%. Ma il nuovo bando appena chiuso prevede l'abbassamento della quota al 5%. Per incentivare maggiormente gli enti locali.
Quali servizi vengono erogati?
Vengono garantiti tutti i servizi che riguardano l'accoglienza: vitto e alloggio, corsi di italiano e di orientamento lavorativo, gli stipendi di operatori e mediatori culturali, le cure mediche e il pocket money. Una piccola somma, di solito sui 2,5 euro al giorno, che viene erogata ai richiedenti asilo per le piccole spese quotidiane.
La disponibilità di posti nel sistema Sprar però rimane molto inferiore rispetto alle necessità. Questo, purtroppo, è vero. La maggior parte dei richiedenti asilo, accolti nei CAS (centri di accoglienza straordinaria), una volta ottenuto lo status di rifugiato dovrebbero poter accedere allo Sprar ma spesso non è possibile perché tutti i posti sono già occupati. E non tutti i Centri d'accoglienza straordinaria (Cas) offrono i servizi necessari. Così queste persone si ritrovano sulla strada, con i documenti in mano ma senza nessuna possibilità di integrazione. Come si è arrivati a questa situazione?
Nel 2013 il Ministero ha deciso di potenziare lo Sprar. Riconoscendone l'efficacia ne ha aumentato i posti da 3mila a 16mila e poi agli attuali 22mila. E il nuovo bando andrà ad aggiungerne altri 5mila. In questi anni lo Sprar ha fatto un significativo balzo in avanti. Ma di fronte al numero sempre più elevato di sbarchi, le Prefetture hanno dovuto trovare nuovi posti sul territorio in tempi molto brevi. E così il sistema “parallelo” dei CAS ha fatto un salto in avanti ancora maggiore.
Quali sono i punti di forza dello Sprar? Innanzitutto l'accoglienza diffusa, che è fondamentale. La scelta di lavorare con piccoli numeri ci permette di avere un impatto minimo sulle comunità locali. I comuni partecipano attivamente a questi progetti a differenza di quello che succede quando, all'improvviso, viene aperto un centro d'accoglienza di 200 posti in un albergo. Inoltre, quello dello Sprar è un sistema trasparente. Il Servizio centrale ha l'obbligo di verificare l'andamento dei progetti, se i servizi previsti vengono erogati, di controllare le rendicontazioni. Il bilancio è buono: lo scorso anno su più 450 progetti meno del 10% aveva delle criticità significative.
 
Quali sono le percentuali di successo dello Sprar?
Fino a qualche anno fa, il 40% delle persone che usciva dai nostri centri aveva già un contratto di lavoro e una casa. Con la crisi, purtroppo, siamo scesi al 35%. A questi bisogna poi aggiungere un altro 30% di beneficiari che non hanno trovato un lavoro ma lasciano lo Sprar avendo acquisito buone esperienze. E hanno gli strumenti per potersi orientare sul mercato del lavoro. Se guarda agli ultimi cinque anni, che bilancio può tracciare? Alcuni passi avanti fatti, soprattutto nell'ultimo triennio, hanno permesso allo Sprar di crescere e di migliorare. Ma se guardiamo al contesto generale, la situazione dell'accoglienza resta molto difficile. Il sistema è troppo sbilanciato sull'emergenza e sulla gestione della quotidianità, quando invece bisognerebbe restare lucidi e ben focalizzati sull'obbiettivo a lungo termine.
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