martedì 19 aprile 2016
​Il rapporto Astalli mette in evidenza le difficoltà principali dei 154mila tra rifugiati e richiedenti asilo approdati in Italia: pratiche lunghe e complesse ma anche poche oppurtunità di formazione e affitti troppo cari. 
Rifugiati, la difficile strada dell'accoglienza
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I numeri raccontano di storie e volti, occhi spaesati ancor più quando i cavilli legislativi o l’accesso alle cure diventano un percorso ad ostacoli. Così le difficoltà burocratiche «aumentano nei rifugiati la sensazione di esclusione e incomprensione». La sfida più grande da vincere, perciò, per l’Italia resta l’accoglienza, ancor più di fronte all’aumento del numero dei profughi che hanno raggiunto le nostre coste – 153mila a fine 2015 – e all’aumento conseguente delle domande d’asilo. Poco meno di 84mila, infatti, le richieste di protezione presentate nel corso dell’anno, con un incremento di circa 20mila domande rispetto al 2014 (+30%).Il rapporto 2016 del centro Astalli, presentato ieri a Roma, descrive anche un Paese che ha superato la soglia dei 100mila posti d’accoglienza, con il sistema Sprar che «ha registrato un rallentamento» vista la «risposta insufficiente degli enti locali». E così, invece, di favorire «le piccole accoglienze diffuse», alla base dell’integrazione, ricorda la struttura che fa parte del servizio dei gesuiti per i rifugiati, «si finisce per moltiplicare i grandi centri». Ma la solidarietà dell’Italia si legge soprattutto nei numeri dell’accoglienza dello scorso anno proprio del Centro Astalli: 21mila nella sede di Roma, che diventano 36mila se si considerano le sette sedi dell’associazione, con la distribuzione in dodici mesi di 70mila pasti, cioè 250 al giorno. Tutto grazie alla passione di 554 volontari, 17 giovani del servizio civile, 49 operatori professionali e a 2,8 miliardi di impegno economico complessivo; finanziamenti per il 25% raccolti grazie alla generosità dei privati. L’impegno di 14 congregazioni religiose inoltre – diventeranno 23 quest’anno – sono diventate nella Capitale «comunità di ospitalità» per 70 persone.I muri e «le barriere assurde», «la via della chiusura ostinata davanti alle persone in fuga» scelta dall’Europa non è la risposta – ricorda quindi il presidente del centro Astalli, padre Camillo Ripamonti, perché la disperazione aumenta e i viaggi «si fanno più pericolosi». Questo dimostra ancora una volta «come il non considerare il progetto migratorio delle persone sia un errore grave». Quando infine si arriva in Italia, il calvario non è finito, visto che la burocrazia si trasforma in un vero scoglio. Soprattutto negli ultimi mesi, quando sono stati introdotti nuovi criteri e procedure per l’utilizzo degli indirizzi fittizi, per l’iscrizione anagrafica e per il rinnovo dei permessi di soggiorno. Accanto permangono vecchi gap per la copertura sanitaria. Tanto da far arrivare a più di 620 persone – vittime di abusi e tortura – i pazienti seguiti nell’ambulatorio di via degli Astalli. Molte difficoltà sono state comunque superate grazie alla generosità dell’Elemosineria Apostolica, che ha donato 25mila euro per il pagamento delle tasse necessarie al rilascio di permesso di soggiorno e titolo di viaggio per 287 rifugiati riconosciuti.L’Italia però non può essere lasciata sola ad affrontare l’emergenza. Il presidente del Senato Pietro Grasso lo ripete più volte al teatro Argentina, durante la presentazione del report sull’accoglienza del Centro Astalli. Una politica europea, non certo muri, e «corridoi umanitari insieme a migrazioni legali» restano perciò la ricetta per affrontare un fenomeno ormai stabile. E il <+CORSIVOA>migration compact<+TONDOA> del governo italiano, conclude, è un «lungimirante» piano che ci si augura ora «l’Ue sostenga». Le barricate, infatti, gli fa eco in un messaggio la presidente della Camera Laura Boldrini, «compromettono il nucleo stesso di valori e principi su cui è fondato il progetto europeo». Al continente in questi anni è mancata, in realtà, una politica unitaria nei confronti dell’Africa – ricorda l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi – a cui serve «un grande piano di sviluppo dell’Unione europea, non soldi ma investimenti per infrastrutture, scuola, sanità e telecomunicazioni». Un progetto che «dovrebbe essere 6-7 volte più grande del piano Juncker». E sulla proposta del premier Renzi di emettere eurobond per finanziare la gestione dei migranti, il fondatore dell’Ulivo invita ad insistere. «Anche se sono poco speranzoso si riesca a vincere» le resistenze delle Merkel, ammette, perché solo la parola «rende isterici i tedeschi» che li considerano «una specie di demonio».
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