mercoledì 16 settembre 2015
​Stop al dialogo nel Pd dopo lo strappo della bersaniana Lo Moro in commissione. Gli emendamenti all'articolo 2 che abolisce il Senato elettivo, dichiarati inammissibili. Oggi la capigruppo per fissare il calendario dei lavori.
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Precipita tutto nel giro di pochi minuti, dopo quattro tentativi di riaprire il confronto sulla riforma costituzionale tra le due anime del Pd. Inaspettatamente, la bersaniana Doris Lo Moro si alza e come nelle trasmissioni televisive che lasciano interdetti gli spettatori, mentre il conduttore si guarda attorno senza il tempo di fermare l’ineluttabile, lascia la stanza per raggiungere i dissidenti dem riuniti in contemporanea. «Siamo a un binario morto – dice – , il nodo è politico». Il ministro delle Riforme Boschi mantiene la calma, come una professoressa diligente: «Continuiamo a lavorare per trovare un accordo». Ma ormai l’improbabile incantesimo è rotto. Gli eventi corrono, e nel giro di poche ore cala il gelo tra Palazzo Madama e Palazzo Chigi, passando per Montecitorio. È qui infatti che Pietro Grasso si trova, quando le agenzie di stampa mandano in rete i ragionamenti privati di Renzi e dei suoi. Il premier stoppa le trattative e chiede alla presidente della Commissione di procedere con la decisione attesa sull’ammissibilità o meno degli emendamenti. Anna Finocchiaro sentenzia il suo no, e rinvia il testo della riforma in aula, dove ormai manca solo la decisione del presidente. Da lui dipendono le sorti del nuovo Senato. I fatti si susseguono in frazioni di secondo. Il capogruppo Zanda confida ai suoi di voler chiedere la conferenza dei capigruppo, per calendarizzare per giovedì l’approdo in aula. Anche Renzi pensa che ormai il testo deve andare «subito in aula». Ma le confidenze rimbalzano sulle agenzie e sui social network. Il presidente del Senato, alla Camera per una commemorazione, si scusa: «Vorrei poter ascoltare le testimonianze in ricordo di Arrigo Boldrini ma purtroppo devo allontanarmi per una situazione che si è creata, vi assicuro veramente di emergenza». In tutta fretta raggiunge il suo studio e lì si sfoga: «Finché resta questo Senato e il regolamento in vigore, a convocare la conferenza dei capigruppo deve essere il presidente del Senato, e non altri». Dalle stanze del governo trapela ancora il ragionamento del premier: «Hanno provato a fare ammuina, e allora il governo ha chiamato il banco». La buona volontà era sincera, assicura il leader del Pd, che non voleva rompere, «ma ai temporeggiatori che volevano uccidere silenziosamente la riforma ricordo che la doppia conforme è chiara» e ne va del «rispetto della Costituzione». E allora si entra nella fase finale della terza lettura studiata a tavolino in mattinata con i capigruppo di maggioranza e Boschi: oggi , dopo la convocazione ufficiale di Grasso, la conferenza stabilirà l’agenda dei lavori. Dal Pd arriverà la richiesta di partire già domani. Ma il presidente del Senato vuole tempo per trovare la via di uscita. Se, come da prassi, confermerà le motivazioni tecniche addotte dalla presidente della commissione Affari costituzionali Finocchiaro, dichiarerà inammissibili gli emendamenti all’articolo 2, che elimina il Senato elettivo. A quel punto, Renzi dovrà trovare i voti per far approvare  il testo inviso alla minoranza del Pd. Da Fi, Romani lo invita a «fare bene i conti», perché gli azzurri, dice, «sono compatti» sul no. Altrimenti, se gli emendamenti saranno accolti, si riaprirà la partita. Con un serio rischio che la riforma vada ad arenarsi. Pallottoliere alla mano, comunque, il braccio destro di Renzi Lotti è certo che con Verdini i numeri ci sono. Mentre Ncd fa l’estremo tentativo sull’Italicum e Quagliariello presenta un ddl per inserire il premio di coalizione. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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