venerdì 25 settembre 2015
Grasso frena il governo: non faccio il boia della Costituzione. Scontro Pd-Sel sulle unioni civili, che non vanno in aula.
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Il delicato accordo raggiunto all’interno del Pd non mette pace nella corsa a ostacoli della riforma costituzionale, sulla quale si consuma l’ennesimo scontro, con nuovi protagonisti. E ancora una volta il presidente del Senato Pietro Grasso si trova nel mezzo della bagarre, costretto ad alzare il tono, tra le proteste di chi – come il Pd – vorrebbe portare a casa la legge entro il 9 ottobre, e le opposizioni decise a discutere i rispettivi emendamenti, sebbene pesino non poco gli 85 milioni della Lega (con lo 'sconto' di giornata di Calderoli, che ne taglia 11 milioni). «Non sono e non passo per il boia della Costituzione », tuona la seconda carica dello Stato in una conferenza dei capigruppo tesissima, destinata a decidere la data del voto finale. Il compromesso si raggiunge sul 13 ottobre e Grasso si riserva di pronunciarsi sull’ammissibilità della valanga di proposte di modifica entro mercoledì della prossima settimana. Nello scontro sul calendario, finisce anche il ddl Cirinnà, sul quale Sel e Cinquestelle infuriati vedono allontanarsi la meta. La legge di stabilità incombe e sarà all’esame dell’assemblea dal 15 ottobre e, con la riforma del Senato ancora da approvare, il testo sulle unioni civili potrà al massimo essere incardinato il 14. La polemica, però, nasce da una frase pronunciata in un’intervista dal ministro Boschi, che avrebbe collegato la mole di emendamenti di Sel e M5S sul Senato delle Regioni allo slittamento del voto sulla Cirinnà. Parole «vergognose», per la capogruppo di Sel Loredana De Petris, che bolla come «bambinesco il tentativo del governo di darci la colpa». Tanto più che nel corso della giornata arriva la sforbiciata alle proposte di modifica. Ma per Sel il governo «rimpalla la questione» delle coppie omosessuali per «mancanza di coraggio». Nello scontro di tutti contro tutti, insomma, il capogruppo del Pd Luigi Zanda torna a irritare Grasso con la richiesta di chiudere la partita sul Senato entro il 9. Il presidente di Palazzo Madama aveva già fatto capire di essere disposto a valutare solo gli emendamenti che entrano nel merito. E tuttavia, se per quelli strumentali si poteva prevedere una sorta di 'ghigliottina', quelli mirati non si possono eludere, come di fatto avrebbe gradito il Pd per accelerare. Così Grasso ottiene dalle opposizioni il ritiro degli emendamenti «ostruzionistici agli articoli 1 e 2 del testo (per i quali si prevede la richiesta di voto segreto). Dell’ondata di richieste di modifica, dovrebbero restare circa tremila emendamenti di merito. E concorda a fatica il voto finale per il 13 ottobre, mentre concede una «pausa di riflessione» fino al 29 settembre, quando l’aula prenderà a votare. Il Carroccio va avanti a singhiozzo, riservandosi di ritirare di volta in volta anche gli altri emendamenti , se «ci daranno ascolto ». Quanto all’algoritmo che gli avrebbe permesso di moltiplicare gli emendamenti, Calderoli ironizza: «Se io da solo sono capace di bloccare il Parlamento, allora o siete scarsi voi, o c’è qualcosa che non va nel regolamento». La soluzione di Grasso che lascia spazio al dibattito, già saltato in commissione, dove non si è concluso l’esame del testo, viene apprezzata dalle opposizioni. In particolare da Sel e M5S, il cui malumore resta solo per il calendario che non concede spazio alla legge Cirinnà. Di fatto è la riforma costituzionale ad avere la priorità, e in aula, il ministro delle Riforme Boschi spiega: «Siamo a un passo dal traguardo e allora mi rivolgo a tutte le forze politiche presenti, dovremo utilizzare i prossimi giorni per trovare un consenso ampio». E una prova del nuovo asse con Verdini e il suo gruppo Alleanza liberal-popolare (Ala) per ora produce i suoi frutti. Ieri i verdiniani hanno votato con la maggioranza contro il ritorno del ddl in commissione proposto dalle opposizioni. In aula il capogruppo di Ala Lucio Barani spiega: «Siamo consapevoli che la nostra è una forza politica gravitazionale, nel senso che è nata per permettere che venissero fatte le riforme. Non abbiamo, quindi, presentato emendamenti e riteniamo che si debba necessariamente passare all’esame degli articoli, in coerenza con quanto è stato il nostro comportamento». Bocciata dunque la proposta di Mario Mauro (Gal) di tornare in commissione per votare il testo secondo l’iter più 'pacifico', visto che si è superato il nodo all’interno del Pd sul Senato elettivo.
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