venerdì 29 settembre 2017
Sigilli a Enel Brindisi e siti Ilva a Taranto. La Cementir (sequestrata) acquistava ceneri dalla centrale elettrica e dall’altoforno
«Rifiuti pericolosi per produrre cemento»
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Alcuni dirigenti locali sapevano, la Dda leccese non ne ha dubbi. Come non li ha sul presunto traffico illecito di rifiuti e l’attività di gestione non autorizzata, così – con l’operazione 'Araba Fenice' condotta dalle Fiamme Gialle – ha fatto mettere i sigilli alla centrale Enel di Cerano (provincia di Brindisi, la seconda più grande d’Italia), ai 'parchi loppa' dell’Ilva di Taranto e adesso indaga trentuno persone di Enel, Ilva e Cementir. Sequestrando a Enel anche mezzo miliardo di euro con l’ipotesi di ingiusto profitto. La storia è semplice, secondo la Direzione distrettuale antimafia: sarebbero stati utilizzati rifiuti pericolosi per produrre cemento.

Le tre aziende negano. «Enel Produzione confida che nel corso delle indagini potrà dimostrare la correttezza dei propri processi produttivi e presterà ogni utile collaborazione alle autorità inquirenti », scrive in una nota. Un’altra è firmata dai commissari straordinari di Ilva, Piero Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba, «fiduciosi che al termine del procedimento » si dimostrerà che «Ilva opera nel rispetto delle normative comunitarie in materia di gestione e trattamento dei rifiuti». Infine ugualmente Cementir «rivendica la correttezza del proprio operato ed esprime piena fiducia nel lavoro della magistratura, auspicando una rapida soluzione della vicenda».

L’inchiesta però nasce cinque anni fa col sequestro di due aree dello stabilimento Cementir di Taranto adibite a discarica di rifiuti industriali. Secondo la Dda, le materie prime utilizzate da Cementir per la produzione di cemento non sarebbero a norma e sarebbero state acquistate da Ilva e Enel. Il gruppo siderurgico avrebbe venduto a Cementir loppa d’altoforno (un residuo del processo di produzione della ghisa), scaglie di ghisa, materiale lapideo, profilati ferrosi, pietrisco e loppa che «ne inficiano la capacità di impiego allo stato tal quale nell’ambito del ciclo produttivo del cemento», si legge nel decreto di sequestro.

Quanto all’Enel, «secondo la nostra ricostruzione accusatoria e quanto emerge dalle intercettazioni, i dirigenti Enel sapevano » che le ceneri inviate alla Cementir non erano in regola, ha spiegato il procuratore della Repubblica di Lecce, Leonardo Leone De Castris: «Lo sapevano documentalmente, anche perché l’impianto preposto allo stoccaggio delle ceneri pericolose c’era, e la cosa secondo noi più grave è che non venisse utilizzato. Ovvero, c’era già tutto quanto fosse possibile per far bene la propria attività in sicurezza e non è stato fatto». Perché «per Enel la convenienza stava proprio nell’'eliminare' la procedura di eliminazione del rifiuto». In alcune intercettazioni alcuni dirigenti della centrale Enel «fanno riferimento alla necessità di confondere gli inquirenti presentando loro dati alterati e non veritieri » e ad «evitare di comunicare con l’Arpa (Agenzia regionale per l’ambiente, ndr) ».

Perciò secondo De Catris «alcune figure dirigenziali di Enel locale hanno attuato attività di nascondimento della realtà, attraverso l’offerta di valori non corrispondenti al vero e attraverso un’attività di elusione dei controlli dell’Arpa». Risultato? «Aver trasformato una voce di costo aziendale legata allo smaltimento di rifiuti in una fonte di introiti, rappresentata dal prezzo corrisposto da Cementir per le ceneri». Prova a rassicurare, infine, il capo della Procura: «Ora ci saranno indagini di Arpa e ministero della salute, ma mi sento di dire al momento che non ci sono problemi per la salute pubblica», spiega. E dopo aggiunge: «Secondo la consulenza tecnica, le ceneri provenienti dalla combustione di idrocarburi sono state qualificate dal nostro consulente tecnico come rifiuti pericolosi contenenti metalli come vanadio, mercurio e nichel e ammoniaca».

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