mercoledì 8 maggio 2019
Sono drammatici i dati dell'indagine annuale dell'Associazione dei dottori di ricerca Adi. In dieci anni i posti si sono quasi dimezzati e, i pochi rimasti, si concentrano al Nord
Ricercatori, il 90,5% sarà espulso dall'università
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Sono sempre di meno e sempre più precari. Tempi duri per i ricercatori universitari, sui quali si abbatte, e non da oggi, la scure dei tagli ai finanziamenti statali. In dieci anni, dal 2007, i posti di dottorato banditi dagli atenei italiani si sono ridotti del 43,4% e si sono concentrati soprattutto nelle università del Nord. Sono alcuni dei dati principali dell'Indagine annuale sulle condizioni di vita e di lavoro dei ricercatori, presentata oggi in Senato dall'Adi, l'Associazione dottorandi e dottori di ricerca, che ha elaborato i dati relativi al 2018.

Posti ancora in calo

Dopo il timido rimbalzo registrato nel 2017, i posti di dottorato sono tornati a scendere, passando da 9.288 a 8.960 nel 2018, con una perdita secca del 3,5%. Stando alle elaborazioni effettuate dall'Adi, dal 2007, i posti di dottorato si sono addirittura ridotti del 43,4%, riflettendo «le conseguenze dei tagli che hanno colpito il settore dell'Università negli ultimi dieci anni», si legge in una nota dell'Adi.

Sud ancora penalizzato

Pur nelle ristrettezze generali che hanno caratterizzato il settore negli ultimi anni, la riduzione dei posti di dottorato non è stata uniforme sul territorio nazionale. Dal 2007 al 2018, infatti, il Nord ha perso il 37% dei posti messi a bando, il Centro il 41,2% e il Sud il 55,5%, praticamente più che dimezzando l'offerta a disposizione dei ricercatori. «Questa dinamica - sottolinea l'Adi - non fa che aumentare le differenze che già esistevano tra le tre grandi macroaree del Paese: oggi il Nord conta il 48,2% dei totale dei dottorati banditi in Italia, il Centro il 29,6% e il Mezzogiorno il 22,2».

Diminuiscono i dottorati senza borsa (ma non aumentano quelli che ce l'hanno)

Unico risultato positivo (a metà) dell'Indagine Adi, è la diminuzione dei posti di dottorato senza borsa. Nel 2018, i posti senza borsa erano pari al 16,9%, oltre venti punti percentuali in meno rispetto al 2010, quando i dottorati senza borsa erano il 39% del totale. «Il confronto con il trend dei dottorati con borsa - precisa, in proposito, l'Adi - dimostra, però, che la diminuzione dei posti banditi senza borsa non si traduce in un corrispondente incremento di quelli con borsa».

Troppe «tasse sul talento»

Dall'elaborazione degli oltre 5mila questionari compilati dai ricercatori interpellati dall'Associazione, emerge anche uno spaccato preoccupante per quanto riguarda le tasse di iscrizione al dottorato, con differenze preoccupanti tra le università. Mentre il 50% versa meno di 200 euro l'anno, la restante metà paga cifre che variano dai 200 euro e possono arrivare anche a 2mila euro. Una vera e propria «tassa sul talento», denuncia l'Adi. Un prelievo, per di più, «che fornisce un gettito esiguo».

Il precariato è donna

Per quanto riguarda il post-doc, i dati del consorzio Cineca, elaborati dall'Adi, dicono che all'interno delle università il personale precario ha ormai superato quello stabilizzato. Infatti, a fronte di 47.561 dipendenti a tempo indeterminato, ce ne sono 68.428 a tempo determinato. Tra il personale stabile, inoltre, soltanto il 37% è di sesso femminile e la percentuale di donne si assottiglia mano a mano che si sale verso le posizioni apicali. Le donne sono il 50,3% tra gli assegnisti, il 41,1% tra i ricercatori a tempo determinato, il 37,5% tra i professori associati e solo il 23,1% tra i professori ordinari.

Dieci su cento ce la fanno

In ogni caso, stando alle elaborazioni Adi per il 2019, dei 13.029 assegnisti di ricerca attualmente al lavoro negli atenei statali, soltanto il 9,5% avrà la possibilità di proseguire la carriera diventando professore associato. Il restante 90,5% sarà espulso nel giro dei prossimi anni. Uno spreco che l'Italia non si può più permettere.

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