martedì 11 ottobre 2016
La sesta indagine Associazione dottori di ricerca italiani evidenzia le carenze di un settore in sofferenza. Dei 13.725 assegnisti di ricerca attuali, solo il 6,5% sarà assunto dalle università. Il 93,5% dovrà cambiare lavoro
Ricerca, perso il 44,5% dei posti in dieci anni
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«I dottorati di ricerca  giocano un ruolo cruciale nel guidare l’innovazione e la crescita economica». «Le aziende sono attratte dai Paesi che fanno di questo livello di formazione e ricerca una opportunità accessibile». Queste Raccomandazioni dell’Ocse, contenute nell’edizione 2013 del rapporto Education at a glance, non sono state recepite dall’Italia che, anzi, in questi anni ha continuato ad erodere posti di dottorato. Come evidenziato dalla sesta indagine dell’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (Adi), negli ultimi dieci anni i posti di dottorato nelle università italiane sono passati dai 15.733 dell’anno accademico 2006 agli 8.737 del 2016, con una perdita secca del 44,5% dei posti.

La «compressione selettiva» penalizza il Sud

Il declino dei ricercatori, stando all’analisi dell’Adi, è legato strettamente alle «scelte della politica italiana». Nel 2008, con la legge 133/2008, è iniziata l’epoca dei tagli lineari al Fondo di funzionamento ordinario delle università, che in sei anni ha perso tra il 20% e il 40% dei valore reale, con un taglio secco del 16% delle borse di dottorato. Il vincolo dei 75% di posti coperti da borsa, imposto dal Miur nel 2014, ha comportato, sempre secondo l’Indagine Adi, un’ulteriore riduzione del 18% dei posti. I tagli, che hanno riguardato tutti i territori, non hanno però avuto ovunque il medesimo impatto. Da questo punto di vista, Adi parla di «compressione selettiva», facendo riferimento al divario, sempre più ampio, tra Nord e Sud del Paese. Infatti, mentre il 60,3% degli assegnisti di una borsa di ricerca è concentrato in quattro regioni (Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Lazio), con la sola Lombardia che conta il 21,4% di tutti gli assegnisti a livello nazionale, la percentuale di posti banditi dagli atenei del Sud è passata dal 27,7% del totale del 2006 al 21,7%.

Ricercatori senza prospettive

Anche per chi riesce a entrare nel sistema della ricerca, le prospettive non sono comunque rosee. Secondo l’analisi dell’Adi, infatti, degli attuali 13.275 assegnisti di ricerca attivi in università, soltanto il 6,5% è destinato ad una posizione a tempo indeterminato in ateneo. Il restante 93,5% sarà espulso nei prossimi anni e dovrà cercare una nuova collocazione lavorativa. Addirittura il 62,3% non continuerà a fare ricerca. E questo a fronte del fatto che, rileva sempre Adi, ogni anno 1.800 docenti vanno in pensione e meno di mille ricercatori sono inseriti in ruolo. L’impoverimento è dunque destinato a continuare.

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