domenica 24 giugno 2018
Il nostro Paese è secondo per pubblicazioni scientifiche solo agli Stati Uniti. Svelati i meccanismi della malattia, ora la sfida è trovare terapie efficaci.
L'Italia «batte» la Sla: partono i nuovi progetti di ricerca
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Abituati come siamo ad avere scarsa fiducia nei possibili risultati della ricerca scientifica italiana, viste le ristrettezze materiali nelle quali abitualmente deve muoversi, desterà certo qualche sorpresa il fatto che sul terreno della Sla, invece, l’Italia è ai vertici mondiali, seconda ai soli Stati Uniti per numero di pubblicazioni scientifiche in una materia tanto complessa e di così rilevante impatto umano e sociale. Il criterio che decide questa particolare classifica la dice lunga sul valore effettivo della ricerca italiana: uno studio arriva infatti sulle pagine delle pubblicazioni alle quali guarda la comunità scientifica internazionale solo se ha superato rigorosi controlli incrociati di ricercatori di tutto il mondo, chiamati a valutare il merito dei risultati senza neppure sapere dove sono stati conseguiti.

L’eccellenza italiana nella ricerca su questa malattia neurodegenerativa che colpisce 10 persone ogni 100mila abitanti, con 6mila malati nel nostro Paese, è emersa nei giorni scorsi in occasione del «Global day» dedicato alla Sla, occasione anche di un incontro di 300 tra malati e famiglie con il Papa in Vaticano, organizzato da Aisla.

Motore del successo scientifico italiano è la Fondazione Arisla (Associazione per la ricerca sulla Sla) che ha appena erogato 832.984 euro per sei nuovi progetti di ricerca selezionati da una commissione scientifica internazionale tra i 143 partecipanti al bando annuale. Il nuovo percorso di ricerca si aggiunge a quelli sin qui sostenuti dalla Fondazione, che dal 2009 a oggi ha erogato 11,4 milioni di euro supportando 68 progetti e oltre 260 ricercatori in Italia. La scalata al ranking mondiale, in particolare negli ultimi cinque anni, è una logica conseguenza.

Il primo passo è conoscere la malattia, seguono quelli di tipo traslazionale, ovvero gli approcci alla terapia sull’uomo. Caratterizzata dalla degenerazione dei motoneuroni – cellule nervose cerebrali e midollo spinale responsabili dei movimenti della muscolatura volontaria – la Sclerosi laterale amiotrofica è un continente da esplorare attraverso la ricerca di base. Cinque dei nuovi progetti italiani sono infatti finalizzati a esplorare i meccanismi che innescano la patologia con strumenti altamente innovativi: il progetto «Tdp-43-Struct» indaga la struttura della proteina Tdp-43, che ha un ruolo centrale nella patologia, per purificarla e standardizzarne la produzione rispondendo alla domanda sul perché i motoneuroni muoiono selettivamente. Sempre per la ricerca di base, il progetto «AxRibAls» indaga la capacità degli assoni, parti filamentose del motoneurone che trasmettono i segnali elettrici, di mantenere le proteine necessarie alla loro funzione e sopravvivenza.

C’è poi il progetto «Irkals», che analizza la funzione di residui di infezioni retrovirali incorporati nel nostro Dna, rilevati in grandi quantità in una parte dei pazienti affetti da Sla. Infine, lo studio «HyperAls» affronta le alterazioni metaboliche di cui sono affetti i malati per correggerle con farmaci già testati in altre patologie.

Accanto all’attività della Fondazione Arisla, che fa sapere di «non voler mollare fino a che la malattia non sarà sconfitta», va ricordato un altro percorso italiano di ricerca d’eccellenza: è quello coordinato da Angelo Vescovi, direttore scientifico dell’Irccs «Casa Sollievo della Sofferenza» di San Giovanni Rotondo, che da oltre un decennio indaga la possibilità di cura con le cellule staminali cerebrali, a partire dalla Sclerosi multipla secondaria progressiva. Né va dimenticato il modello di cura del Centro clinico Nemo di Milano, fondato nel 2006, poi esteso a Messina, Arenzano (Genova) e Roma. Perché l’Italia che ricerca e cura sta correndo, ed è bene saperlo per sostenerla.

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