sabato 7 maggio 2016
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Daveri: Unione troppo disomogenea, puntare a un patto 'investimenti per riforme' Il problema maggiore dell’Europa di oggi? «È la mancanza di omogeneità. Quando non c’è, un’unione monetaria fatica ad andare avanti, lo sosteneva già anni fa il Nobel Robert Mundell – afferma Francesco Daveri, docente di economia alla Cattolica (sede di Piacenza) –. Fra gli stati ci sono vocazioni produttive e livelli di reddito pro-capite troppo diversi. La disoccupazione, poi, cala troppo lentamente e anch’essa non è uguale in tutti i Paesi: nell’area del Mediterraneo è più che doppia rispetto a quella del 2006. Questo spiega le visioni differenti fra Nord e Sud. L’altro grave problema è il debito pubblico: la sua insostenibilità complessiva non è percepita solo grazie al basso livello dei tassi d’interesse e alle politiche della Bce». Che subisce critiche dalla Germania. Non fondate. Draghi ha ragione: a parte che da 6 anni i tassi sono bassi pure negli Usa, se ora li aumentasse farebbe risalire il cambio dell’euro, con un effetto di ulteriore frenata della crescita. Non se ne sente il bisogno, oggi. Bisogna prender atto che siamo davanti a quella che Larry Sum- mers (ex segretario al Tesoro Usa, ndr) ha chiamato una «stagnazione secolare». Di fronte a questa prospettiva i cittadini non spendono più, le imprese non fanno investimenti e le banche non fanno credito perché temono nuove crisi. E non è solo un problema di domanda... Cosa vuol dire? La rivoluzione tecnologica non genera più benessere per la classe media, ma tende ad arricchire pochi. Una volta, invece, delle innovazioni ne beneficiavano in tanti, a partire dalle piccole aziende del distretto. Oggi abbiamo una concentrazione maggiore della ricchezza, che incide sulle capacità di consumo. C’è troppo risparmio e troppo poco investimento. Quale via d’uscita vede? L’Unione è partita con forti carenze progettuali. Doveva innescare 4 processi: similarità delle economie, meccanismi di trasferimento di reddito fra i Paesi partecipanti, flessibilità dei salari e mobilità del lavoro. Ora, o la Ue riesce a far funzionare almeno una di queste 4 condizioni oppure l’euro rischia davvero di avvitarsi in una crisi senza fine. Occorre sanzionare il surplus della bilancia dei pagamenti che Berlino sta accumulando e ripartirlo nell’Ue? Il surplus non è un vero problema: Berlino lo sta maturando soprattutto verso il resto del mondo, quello con l’eurozona oggi è pari a zero. Se l’Ue diventa una transfer union a senso unico, con alcuni che mettono soldi e altri che spendono, è logico che la Germania non sia favorevole. Su quali fattori punterebbe, allora? Fino a poco fa avrei indicato la mobilità del lavoro e i salari, confidando che il loro aumento in Germania andasse avanti in modo da avere più domanda interna per loro e più export per gli altri. Ora, però, stiamo pure smantellando Schengen... A questo punto per tenere in piedi l’Ue non ci restano che le riforme economiche, per rendere i Paesi più flessibili e adattabili ad altri eventuali choc. A meno che non si vada a una vera, auspicata unione politica. Renzi, intanto, continua a chiedere più margini a Bruxelles. Fa bene? Questo è un tema significativo. Da un lato siamo tutti a favore della maggiore integrazione, però questo non può voler dire che poi ci si ritrova a Bruxelles solo a festeggiare. Integrarsi implica che il 'centro' metta il naso nei bilanci nazionali, in cambio dei benefici assicurati al singolo Paese: c’è quindi una perdita di sovranità. Ho la sensazione, invece, che sottolineiamo i benefici eventuali, ma siamo timidi sui vincoli che più Unione comporta. Dobbiamo chiedere allora che l’Ue si faccia carico dei rifugiati e che assicuri le relative risorse, ma non possiamo continuare a chiedere flessibilità. Tutte e due le cose insieme non stanno. Non ritiene che il troppo rigore abbia fatto ammalare ancor più l’Europa? L’austerità ha portato i suoi problemi, certo. Non è ben chiaro però che cosa si sarebbe dovuto fare al suo posto. A parte la ristrutturazione immediata del debito greco, osteggiata invece da Berlino e Parigi per i problemi che avrebbe portato alle loro banche. È il debito il grosso nodo. Sottovalutato? Sì. Quando un Paese ha oltre il 132% di debito, è un delitto se non pensa ai suoi figli o nipoti. Prima o poi questo Paese potrebbe causare qualche incidente. In Italia stiamo danzando sull’orlo del precipizio, come in Portogallo e a Cipro, anche se il Quantitative easing di Draghi non è detto che finirà nel 2019. Invece c’è troppa attenzione al deficit e ci sono troppi squilibri. L’Italia rischia le sanzioni se invece del 2,2 di deficit fa il 2,4%, mentre Francia e Spagna stanno beatamente sopra il 3%. Qual è la sua ricetta, allora? Cambiare le regole attuali per renderle davvero più europee. Tutti questi vincoli algebrici non è che siano molto utili. Meglio un monitoraggio affidato a un ministro delle Finanze, almeno per l’eurozona. Occorre 'stimolare' i tedeschi a spendere di più, in cambio però dell’impegno degli altri a fare più riforme. E aumentare ancora i salari, convincendo Berlino a fare più investimenti. Ma sarà un processo lungo. Eugenio Fatigante © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista Francesco Daveri DIBATTITO Partendo dall’analisi svolta dal già governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, pubblicata in 2 puntate su Avvenire martedì 22 e mercoledì 23 marzo, continua con una serie di interviste a prestigiosi economisti il confronto sulle tematiche e sui problemi dell’economia europea e, in tale contesto, sulle sfide per quella italiana.
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