lunedì 5 maggio 2014
​Nel quartiere alla periferia ovest di Milano tra immigrati e disagio sociale. Cresce il bisogno di sicurezza ma anche la capacità di integrare. (Claudio Monici)
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Chi se la ricorda più la Rosanna del Lorenteggio? Sono scomparsi anche quelli delle bische a cielo aperto di una volta, quei ceffi della banda del dado coi baffi alla messicana e quelle giacche a quadrettoni mal stirate, cui chiedere come è finita la storia di questa donna un poco tocca di testa, sprezzante del giudizio altrui, che si faceva offrire il caffè o un «bicerin de vin» bianco dagli avventori del bar della cooperativa. Dicono che abitasse in via Segneri e che passasse le sue giornate alla stazione di San Cristoforo, nell’attesa «del treno per Londra». Di anni ne sono passati  parecchi, troppi per avere lasciato una memoria ancora viva, e poi nelle grandi città, si sa, si fa presto a dimenticare le piccole storie, che bruciano come un fiammifero svedese. Le nostre vite non fanno che turbinare nervose, e nelle vie e nelle case popolari di periferia le persone, gli inquilini, cambiano, come ci cambiamo d’abito, e tutto si rinnova e torna al suo punto di partenza. Al tempo della Rosanna, il Lorenteggio è come il Far West, la frontiera dei regolamenti di conti. Terribile e sanguinoso fu un fatto di cronaca nera, davanti a un bar, quando nelle strade di Milano si sparava con grilletto facile per il controllo delle bische e dello spaccio dell’eroina, un giorno in quattro rimasero stesi a terra in un colpo solo. Ci furono delle vere stragi nella guerra tra clan mafiosi e malavitosi che parlavano in milanese. Ma della storia di quei personaggi che in quel passato lontano con i loro nomi che facevano tremare la città e riempivano le pagine dei quotidiani del pomeriggio, «Corriere d’informazione» o «La Notte», e gli strilloni ne gridavano le gesta contendendosi lettori sul sagrato di piazza Duomo, di loro poco o nulla è rimasto, se non nei taccuini di qualche anziano cronista di razza.Oggi che il Lorenteggio non è più quella strada della periferia, una tra le vie più lunghe di Milano, che fra campagne e rari edifici con le le sterpaglie per aiuole, si snodava oltre la «gesetta di lusert», così chiamata dai contadini perché le lucertole si crogiolano al sole, e dove un tempo la città finiva, adesso c’è il traffico di via Lorenteggio e il richiamo dei centri commerciali.Ma non sono cambiati i problemi, la radice della malapianta non si riesce mai a strappare del tutto. Ai banditi di allora dalla vita facile, elegante, col «Borsalino» calato sulla fronte alle ore ventitre, si sono «accodati» il moderno disagio sociale, l’emergenza abitativa, la nuova immigrazione, la microcriminalità che dilaga e non solo con lo spaccio di vecchie e nuove droghe. «Quando parliamo di questo nostro quartiere, non si può non farlo guardandolo diritto dentro ai suoi occhi. Un quartiere problematico. Un quartiere segnato da situazioni sociali forti e con una presenza di immigrazione molto alta e altrettante realtà famigliari complicate, segnate dalla disoccupazione o da figli e genitori in famiglia agli arresti domiciliari. Tutte realtà che richiedono una lettura e una attenzione e soprattutto delle risposte che forse non sempre riusciamo a individuare e a dare – va subito al sodo don Giorgio Bordin, della parrocchia di San Leonardo Murialdo –. Attraverso il nostro Centro di ascolto e la San Vincenzo cerchiamo di fare qualcosa di fornire delle risposte a delle situazioni di povertà molto accentuate: ogni mese distribuiamo duecento pacchi viveri. Come minimo. E poi seguono le altre richieste d’aiuto: pagare le bollette di luce, gas, acqua, del telefono. Ci sono dei momenti che ho come l’impressione di essere più un operatore sociale che un evangelizzatore».Dodicimila abitanti, una ampia presenza di anziani soli o assistiti da una badante. Ma al Lorenteggio la stragrande maggioranza è composta dagli extracomunitari provenienti dalla fascia del continente africano che si affaccia sul Mediterraneo. Non è raro osservare gruppetti di mamme musulmane con il capo velato che si intrattengono chiacchierano fra loro nel cortile dell’oratorio, mentre i loro bambini giocano con i loro coetanei creando un arcobaleno di nazionalità.«Siamo una realtà con tutti i suoi colori e sfumature. Ma penso anche che abbiamo una vivacità e delle cose belle e interessanti oltre a quelle che ci possono oscurare un po’. Se guardo alla mia comunità vedo un vero un fiorire di persone che si dedicano non solo alla Fede, ma anche al sociale e in maniera significativa – aggiunge il parroco –. Da noi il problema più grave è sicuramente quello della casa. Tanti sono gli appartamenti vuoti, mentre ci sono situazioni che conosco, come una famiglia composta da padre, madre e sei figli, che vivono in pochissimi metri quadrati: insufficienti per potere gestire una famiglia. Sono anni che si parla una riqualificazione del quartiere, ma intanto questa prospettiva rimane nel fondo di un desiderio a parole. Altresì nella gente del quartiere si sente un grande bisogno di sicurezza. La sera sono in pochi ad avventurarsi per queste vie».In largo Fatima c’è un trentenne dal maglione rosso conosciuto perché spaccia droga, mamme e bambini che tornano da scuola o che escono dall’oratorio fanno un giro più largo per raggiungere le case, qualche volta dovendo magari allungarlo ancora di più come quella volta che un gruppone di facinorosi armati di bastoni e mazze di ferro se la sono data di santa ragione, Litigavano per chi avrebbe avuto il primo diritto di occupare degli appartamenti.La Rosanna del Lorenteggio chissà che fine ha fatto. La sua vicenda si è persa nell’oblio della storia, spazzata come polvere.E così accadrà anche per Anna di Vita che aveva 83 anni e non si era mai sposata, una vita di lavoro. Un passato di sarta nella Milano che conta, quella degli stilisti famosi e poi la pensione e una vita isolata, fatta di solitudine, se non fosse stato per la frequentazione in parrochia. Dalle luci della città era finita in un appartamentino popolare in via Giaggioli al 9. Era già stata derubata in casa, l’anziana donna. Aveva anche subito uno scippo per strada. Il 10 aprile scorso la trovano riversa sul pavimento. Una ferita alla testa. Forse morta tre giorni prima del rinvenimento avvenuto quasi per caso. La casa completamente messa a soqquadro, cassetti aperti. La sua è una triste minuta storia di cronaca nera, che sulle pagine dei giornali è durata il soffio di un momento, ora in attesa del suo oblio anche nel quartiere. Come la terribile vicenda accaduta in via Segneri nel marzo di quest’anno. L’orribile omicidio di una giovane mamma e del suo bambino di 3 anni, di origini sudamericane, per mano di un amico di famiglia impazzito di follia dopo che avrebbe bevuto 20 bottiglie di birra. Nelle grandi città, le piccole storie di periferia bruciano presto. Come un fiammifero. Come tante Rosanne del Lorenteggio.
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