sabato 31 agosto 2013
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Il piede sull’acceleratore. Contro il Cav e dentro il Pd, per mostrare la forza che il suo vento di novità può portare. Il tentativo di Matteo Renzi di conquistare il partito inizia dalla regione simbolo per i Democratici, l’Emilia Romagna. Non a caso, mentre tutto il quartier generale è alla festa nazionale a Genova, il sindaco di Firenze parla quasi in contemporanea con il premier (e probabile sfidante nelle primarie) Enrico Letta, ospite invece in terra ligure. Poco più di mezz’ora, davanti a una platea di alcune migliaia di persone che lo aspettano da inizio pomeriggio, per chiedere di credere nel cambiamento, dell’Italia e del partito. Ma anche per mostrare i muscoli al Pdl, in vista delle sfide per la stabilità del governo. E pure per ricordare a Silvio Berlusconi che in ogni altro Paese civile «un condannato va a casa da sé», senza attendere il voto della giunta o le interpretazioni della legge. Insomma, senza che «venga interdetto».
A chi si aspettava solo frecciate contro i compagni di partito e il premier Letta, Renzi ha risposto in primis con un messaggio generale: serve novità e voglia d’innovazione, un’altra etica in politica. Anche nel modo di reagire agli eventi, come la condanna di Silvio Berlusconi. Basta, dunque, con la domanda che ha accompagnato il dibattito estivo: «Che fine farà il Cavaliere?». L’unico modo per uscire da questa spirale, archiviare la questione, è «non parlarne più». Da Borgo Sisa, in provincia di Forlì, il rottamatore ironizza sul linguaggio giornalistico con cui è stato dipinto il Pdl post sentenza della Cassazione. Viene interrotto molte volte dagli applausi, soprattutto quando tocca il tema dell’agibilità politica del Cav. «I falchi e le colombe contro le pitonesse. Anzi, la pitonessa che basta e avanza da sola...», dice divertito. Mettiamo fine a «questo gorillaio», avverte però Renzi, se non vogliamo che le persone si allontanino ancora di più dalla politica. Il suo silenzio, perciò, è la «naturale» conseguenza in un confronto politico tutto orientato al leader di centrodestra. C’è quindi bisogno di «qualcosa di più e di meglio» di un referendum sul destino di Berlusconi.
Archiviato il messaggio per il presidente del Pdl (in perfetta sintonia con Letta), arriva l’autocritica. Se si vuole vincere le elezioni ed essere governanti credibili occorrerà avere idee proprie, non rimanere imbrigliati nella logica delle correnti che hanno caratterizzato, ma anche logorato, in questi anni, i Democratici. Insomma, bisognerà avere il coraggio di «voltare pagina», anche nel Pd. Un partito che dovrà essere meno piramidale e più aperto, più protagonista nei territori «per dare speranza agli italiani». Ma, ricorda, un partito «non si eredita, si conquista» e, inoltre, dovrà darsi come meta il «diventare il primo rappresentante tra chi garanzie non ne ha». Lui che, con la candidatura, «non cerca una rivincita», ha già messo tuttavia il primo punto all’ordine del giorno se diventerà segretario: «Rottamiamo le correnti, rivalità inutili, se vogliamo un Pd che non perda alle elezioni».
La logica è quella del fare per cambiare un Paese, in sostanza, «che merita di più». Renzi non ha più tanta fretta di arrivare a capo del governo. La scadenza di questo esecutivo non è tra le sue priorità - forse «interessa più a Letta», puntualizza - perché lui può aspettare. L’importante è che «non aspettino le famiglie e le imprese». L’urgenza numero uno è il Paese, anche se l’occhio del sindaco di Firenze resta ben saldo sulle future azioni che farà il Pd per garantirsi un futuro. Innanzitutto, s’inizi ad applicare le norme interne. Il messaggio, forte e chiaro, è per il segretario Guglielmo Epifani, che tende a rimandare le decisioni sul congresso. «Se vogliamo chiamarci Partito democratico - sottolinea - bisogna rispettare le regole». Non si può, infatti, chiedere agli altri di osservarle, quando all’interno del partito non si bada alle scadenze. E lo statuto parla chiaro: entro il 7 novembre bisogna fare il congresso.
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