mercoledì 30 marzo 2016
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ROMA Le ragioni del Paese contro quelle dei «falsi ambientalisti». A poco più di due settimane dal referendum abrogativo sulle trivelle, Matteo Renzi ha scelto la sua narrazione: un attacco duro a chi anche nel suo partito - sostiene le ragioni 'No-Triv' per «motivi strumentali». L’aria che tira la si capisce già di buon mattino, a ridosso della partenza verso il Nevada per il primo giorno del tour negli Usa: «Le rinnovabili vedono l’Italia tra i leader mondiali – scrive il premier su Facebook presentando il suo viaggio –. Ma un mondo che va avanti solo a rinnovabili per ora è solo un sogno. Petrolio e gas naturale serviranno ancora a lungo: non sprecare ciò che abbiamo è il primo comandamento per tutti noi». Insomma, il Pd resta sulla posizione dell’astensione, che in realtà è un invito implicito ai cittadini a disertare le urne (ai referendum abrogativi il vero scoglio è raggiungere il quorum del 50 per cento). O almeno, resta su questa posizione il Pd di Renzi. Perché la sinistra va da un’altra parte. «Il primo partito del Paese al referendum di aprile invita ad andare al mare? – si chiede Roberto Speranza, il leader della minoranza dem –. Credo sia un errore grave. Pd è simbolo di partecipazione. Mancano pochi giorni alla direzione nazionale (lunedì prossimo, ndr). Siamo ancora in tempo per cambiare rotta, per molti questo voto è la possibilità di affermare un nuovo modello di sviluppo sostenibile ». Non dice cosa voterà al referendum, Speranza. Anche se lo si intuisce. Il punto è costringere Renzi a non indicare il 'restate a casa'. Ma il premier, a tornare indietro, non ci pensa proprio. E ha tutta l’intenzione di smascherare gli «ambientalisti a gettone», come li definisce nei suoi sfoghi. Nel frattempo manda avanti sui social network fedelissimi come Ernesto Carbone per ricordare a Speranza quando i Ds nel 2003 invitavano all’astensione sull’articolo 18. Mentre il vicesegretario Pd Guerini avverte: sarebbe un controsenso bocciare al referendum una norma che i dem hanno votato in Parlamento. È chiaro che con queste premesse, quando Renzi sbarca nella centrale ibrida di Stillwater di Enel green power, ogni sua parola viene letta in riferimento alle questioni interne. «Non dobbiamo aver paura della globalizzazione. Siamo nella centrale più innovativa del mondo ed è nostra, è di Enel. L’Italia è leader nel mondo», ripete. Al suo fianco c’è l’ad del colosso energetico a partecipazione pubblica, Francesco Starace. E dal Nevada entrambi annunciano che Enel ha appena vinto una gara in Messico sulle rinnovabili che vale 1 miliardo e mezzo di investimenti. Il senso di tutto è: il governo tifa per le rinnovabili nei fatti ma mantiene un approccio realistico alla questione energetica, e «la rabbia di alcune associazioni dimostra che abbiamo colpito nel segno». La campagna per il 17 aprile consiste dunque, nel Renzi-pensiero, nel confutare «l’ideologia sballata dei referendari». La vera novità è che stavolta il premier si farà 'aiutare' dalle recenti parole di Prodi, spesso evocato dalla minoranza dem in quanto padre dell’Ulivo: il professore non ha esitato a definire la vittoria del «sì» un «suicidio nazionale ». Sul referendum il Pd non è l’unico partito nel pallone. Fi è divisa. Ap e Scelta civica pure. Alcuni verdiniani a sorpresa si sono sbilanciati per il sì, formando un asse strano con M5S, Lega e Sel. Ma il dato di fondo, forse, è che il 17 aprile i partiti non avranno alcun ruolo-guida. © RIPRODUZIONE RISERVATA Renzi visita (con la moglie) l’impianto Enel a Stillwater, Nevada.
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