venerdì 5 aprile 2013
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Il rottamatore spacca in due lo stanco dibattito iniziato il 25 febbraio e destinato a chiudersi solo il 18 aprile, giorno in cui inizierà il voto del nuovo presidente della Repubblica. «O intesa con il Pdl o voto subito», grida Matteo Renzi prima dalle colonne del Corriere della sera, poi, in serata, con toni un po’ attenuati, al Tg1 delle 20. L’effetto è immediato: nel Pd esplodono sospetti e frizioni a lungo repressi, Berlusconi e i suoi strizzano soddisfatti l’occhio al sindaco («Indebolisce di molto Bersani», gongola il Cavaliere). E il messaggio arriva chiaro e tondo al segretario: qualsiasi scelta sul nuovo inquilino del Colle e sul governo dovrà passare da Firenze. Una prova? La sua probabile presenza come "grande elettore" quando le Camere si riuniranno per indicare l’inquilino del Colle. Segno di presenza fisica che varrà anche per i 51 parlamentari che a lui fanno riferimento.«Basta, non si può aspettare, stiamo perdendo tempo. Si faccia qualcosa», sferza Renzi nell’intervista al Corriere. Parla di un «Bersani umiliato da Grillo», delle urne a giugno, delle primarie che lo vedrebbero di nuovo protagonista perché lui non vuole essere inglobato dalla nomenklatura di partito. Parole di ferro. E i fedelissimi del segretario non trattengono la lingua. Volano gli stracci. L’accusa principale è la solita: l’intelligenza col nemico, con Berlusconi.Ma Renzi se la ride. Al Tg1, in un colloquio che il partito immaginava come "riparatore", in realtà il sindaco non fa passi indietro. «Dicono che sono come Berlusconi? Vedono fantasmi anche dove non ci sono. Io ho detto le cose che pensa la gente della strada, le persone semplici. Ho parlato da cittadino, da sindaco. Crisi economica, famiglie in difficoltà, aziende che licenziano e tu cosa chiedi ai politici? Fatti. Non restare lì a traccheggiare». E a chi lo attacca a testa bassa replica: «Io non ho l’ossessione di mandare Silvio in galera, lo voglio in pensione. E il vero avversario del centrosinistra siamo noi stessi: facciamo polemiche quando dovremmo dare risposte alla gente. Grillo va combattuto non alimentando il suo mito ma dimezzando i costi della politica, con la rivoluzione digitale, con una legge elettorale come quella dei sindaci che elimina gli inciuci. Dobbiamo raccontare una speranza al Paese».C’è solo un fronte sul quale Renzi vuole coprirsi: quello con il capo dello Stato. Napolitano va su di giri quando sente parlare di «perdite di tempo». Idem la presidente della Camera Laura Boldrini. E il sindaco, in mattinata, tra una battuta e l’altra («Anche la Chiesa ha fatto prima di noi... dopo 40 giorni ancora non sappiamo chi ha vinto...»), si corregge: «Il presidente è un’assoluta certezza, dare la colpa a lui di questa situazione è una barzelletta».Ora resta da capire il senso del ritorno ufficiale di Renzi. Battere un colpo. Oppure diventare il kingmaker per il nuovo capo dello Stato. O sbarrare la strada al progetto bersaniano di fare in proprio l’inquilino del Quirinale per poi ricevere un nuovo mandato e farsi un governo con spezzoni di grillini e "prestiti" del centrodestra. Altra ipotesi, più maliziosa, è che il sindaco, pur dicendosi non contrario alle larghe intese, in realtà le tema perché allontanerebbero le urne. Mentre lui punta al voto a ottobre.Di certo l’obiettivo di mettere il segretario nell’angolo è raggiunto. Il suo filo conduttore col partito, Graziano Delrio, si affanna a smorzare («Lui non è per le larghe intese, e poi per Renzi va bene anche se si rispolvera l’incarico a Bersani...), ma il calendario spiega molte cose: se non ci saranno le urne, resta comunque la sfida del congresso autunnale. E Renzi ha tutto l’interesse a elevarsi dal pantano di questi giorni.
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