martedì 11 novembre 2014
Sì a prefernze, contrasti su premio di lista e soglia al 3%. Ma c'è ancora tempo per trattare: «Al voto solo  nel 2018».
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Silvio Berlusconi deve dare un segnale ai suoi. Nel merito il leader di Forza Italia spunta ben poco, e però l’ex Cavaliere spiega al suo interlocutore che non può uscire dal suo studio senza qualcosa di credibile, che gli restituisca lo smalto del leader. Matteo Renzi, però, ha bisogno di certezze e gli azzurri non garantiscono la tenuta degli accordi. Meglio dunque tenere buona la maggioranza, che deve far fronte anche a eventuali franchi tiratori del Pd. Anche se il presidente del Consiglio da sempre cerca di mantenere nel patto per le riforme il suo avversario. E così i due decidono per il comunicato congiunto, per offrire l’immagine di un patto solido, che si fonda sulla certezza del voto nel 2018 e di un accordo di metodo anche per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Così, dopo un faccia a faccia di un’ora e mezza, in cui si mettono sul tavolo le modifiche volute da Renzi e ingoiate da Berlusconi, arriva la nota di Palazzo Chigi: «L’Italia ha bisogno di un sistema istituzionale che garantisca governabilità, un vincitore certo la sera delle elezioni, il superamento del bicameralismo perfetto, e il rispetto tra forze politiche che si confrontino in modo civile, senza odio di parte». Eccole «le ragioni per cui Partito democratico e Forza Italia hanno condiviso un percorso difficile, ma significativo, a partire dal 18 gennaio scorso con l’incontro del Nazareno», prosegue il testo.E allora, avanti con le modifiche già blindate da Renzi con la sua maggioranza, con la quale il premier aveva lasciato in bilico solo la soglia del 3 per cento chiesta da Ncd e partiti più piccoli, ma dura da digerire per il leader azzurro. «L’impianto di questo accordo è oggi più solido che mai, rafforzato dalla comune volontà di alzare al 40 per cento la soglia dell’Italicum, e dall’introduzione delle preferenze dopo il capolista bloccato nei 100 collegi», continua il comunicato. Un punto a segno per l’ex Cavaliere, che ottiene l’aumento dei collegi da 70 a 100.Per contro, Berlusconi non vorrebbe neppure il premio alla lista, convinto di poter contare su una ennesima intesa con la Lega di Salvini. E però peggio sarebbe per lui restare fuori. Stesso discorso vale allora per le preferenze, necessarie per Renzi a stoppare le polemiche della minoranza del Pd, oltre a essere un punto fermo per Alfano, decisamente soddisfatto dell’esito dell’incontro. E allora avanti tutta, in attesa del voto dell’aula, previsto per dicembre, secondo il programma varato ieri in Senato, dove Anna Finocchiaro – figura autorevole anche per gli oppositori renziani – è stata designata come relatrice.Avanti tutta, senza nascondere le divergenze. «Le differenze registrate sulla soglia minima di ingresso e sulla attribuzione del premio di maggioranza alla lista, anziché alla coalizione, non impediscono di considerare positivo il lavoro fin qui svolto e di concludere i lavori in Aula al Senato dell’Italicum entro il mese di dicembre e della riforma costituzionale entro gennaio 2015», è la road map indicata. E tra le rassicurazioni di Renzi al suo avversario c’è la volontà di arrivare alla scadenza naturale delle Camere. Berlusconi chiede che sia scritto nero su bianco: «Questa legislatura che dovrà proseguire fino alla scadenza naturale del 2018 costituisce una grande opportunità per modernizzare l’Italia. Anche su fronti opposti, maggioranza e opposizioni potranno lavorare insieme nell’interesse del Paese e nel rispetto condiviso di tutte le Istituzioni». E in questo senso va anche l’intesa di massima per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Un nome scelto da Renzi, ma non riconducibile direttamente al Pd, come nel caso di Romano Prodi.
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