giovedì 4 aprile 2013
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Dietro l’ultima offensiva di Matteo Renzi prende forma un solo grande obiettivo: avvertire Pier Luigi Bersani che sul Quirinale non può pensare di fare da solo, che senza la sua pattuglia parlamentare non si elegge il nuovo capo dello Stato. È un stop deciso e, alla fine, forse scontato. Il Sindaco ha capito la strategia del Segretario. Si è interrogato sulle sue mosse. Le ha anche messe in fila. Uno: Bersani pensa di "usare" il Pd per portare sul Colle un "suo" candidato. Due: resterà così in campo chiedendogli di essere nominato. Tre: passerà l’esame della Camera, ma non quello del Senato. A quel punto (se tutto andasse come nell’area bersaniana tutti immaginano) sarebbe lui a portare il Paese a un voto anticipato magari già a fine giugno.È uno scenario drammatico, ma è anche uno scenario reale. E Renzi si muove consapevole che o lo blocca o rischia di restare tagliato fuori. E allora avverte Bersani. Ma, allo stesso tempo, manda un segnale anche al futuro inquilino del Quirinale: la minoranza renziana farà la differenza, nessuno si può muovere senza aver prima parlato con noi. È anche per questo che la partita del Colle potrebbe finire in un’altra maniera. Magari con il solito mezzo accordo che potrebbe partire da un’intesa tra Pd e montiani per poi eventualmente allargarsi al Pdl o a segmenti di esso. I nomi sono sempre gli stessi. Nomi di dialogo, non di rottura. Nomi come Giuliano Amato o Franco Marini. Nomi uniti da una comune missione: provare, una volta eletti, a chiudere un accordo su un governo partendo proprio da quella base parlamentare che li ha portati al Quirinale. È un cammino ancora pieno di variabili, ma una cosa oggi sembra chiara: prima ci sarà il nuovo capo dello Stato, poi si ragionerà di nuovo governo. Le manovre, in queste ore, si accavallano. Già oggi Bersani potrebbe vedere Monti. E intanto Errani e Verdini trattano riservatamente per conto di Bersani e Berlusconi. Già perché alla fine anche il segretario del Pd deve fare i conti con il realismo e rendersi conto che Grillo non lo vuole. Ieri l’ha fatto l’ultima volta gelando con quattro parole le aspettative di una base che gli chiede di dialogare con il Pd: avete sbagliato a votarci.
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