martedì 7 ottobre 2014
Vertice con i sindacati che si spaccano. Domani al Senato la fiducia.
L'ANALISI Nuove precarietà dietro il boom di Germania e Usa
Oltre la linea d'ombra senza più alibi (Francesco Riccardi)
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"Sorprendenti punti d'intesa con i sindacati". Dura poco più di un'ora il colloquio tra Renzi e i tre segretari confederali. Alla fine dell'incontro il premier precisa che la tutela del reintegro previsto dall'art.18 dello Statuto dei lavoratori per i licenziamenti ingiustificati resterà per quelli discriminatori ma anche per i disciplinari "previa specifica delle fattispecie", tendendo così la mano alla sinistra dem che su questo punto aveva chiesto una correzione in corsa (sgradita a Ncd). L'incontro è iniziato alle 8 a Palazzo Chigi. C'erano il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ed i ministri del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, dell'Economia Pier Carlo Padoan, della Pa Marianna Madia. Presenti i leader di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, Susanna Camusso, Annamaria Furlan, Luigi Angeletti e Geremia Mancini. "Il Paese ha bisogno di un clima di fiducia" ha esordito il premier. Il governo sta valutando anche un emendamento sul Jobs act con norme sulla rappresentanza sindacale e sull'ampliamento della contrattazione decentrata ha detto Renzi. Confermato inoltre che il bonus fiscale ai lavoratori dipendenti (i cosiddetti 80 euro) sarà strutturale a partire dal 2015. Nel corso dell'incontro si è infine parlato dei tre stabilimenti da salvare urgentemente: Termini Imerese, l'Ilva di Taranto e l'Ast di Terni. "Sono le tre T di cui bisogna subito occuparsi insieme" ha detto Renzi.Ma la convergenza d'idee illustrata da Renzi non trova conferme nelle parole dei sindacati. Più disponibili al dialogo Cisl e Uil tocca sempre a Susanna Camusso salire sulle barricate. La numero uno della Cgil  liquida le parole del premier come "cose già dette",  conferma la manifestazione del 25, e sottolinea come l'unica vera novità sia l'annuncio di un altro incontro, il 27 ottobre. La Cgil insomma conferma "il giudizio negativo sul modo in cui si sta componendo l'intervento sul lavoro", il Jobs act, ed il "totale dissenso" sulle modifiche all'articolo 18 e sul demansionamento. Subito dopo quello con i sindacati è iniziato l'incontro con Confidustria. Quello di oggi è uno degli snodi cruciali verso l'approvazione della riforma del lavoro sulla quale il governo ha messo la fiducia. Una scelta che Renzi spiega così: "è un voto palese e non ci sono franchi tiratori.Abbiamo discusso, io credo che il Pd a un certo punto devevotare, si è votato alla direzione, si voterà domani la fiducia, sono convinto che sia naturale che tutti votino per la fiducia, non temo agguati e ove ci fossero li affronteremo". Ci saranno davvero, questi agguati? Tutto dipende da cosa deciderà in queste ore l'opposizione interna al Pd. Mentre l'inizio dell'esame del provvedimento al Senato slitta al pomeriggio, causa mancanza numero legale, Pier Luigi Bersanidalla Camera pare escludere colpi di testa. "A chi mi chiede consiglio raccomando responsabilità e lealtà anche davanti a una forzatura come questo voto di fiducia", dice, "La fiducia non può essere in discussione". Il Consiglio dei ministri ieri ha autorizzato l'uso dello strumento per accelerare e blindare con un maxiemendamento la riforma al Senato. La minoranza Pd confida fino all'ultimo in un ripensamento, nella speranza di avere spazio per discutere in aula i propri emendamenti. Ma se il deputato Stefano Fassina avverte che la fiducia avrebbe delle "conseguenze politiche" (e invoca l'intervento del Colle) i bersaniani anticipano che voteranno la fiducia per non far cadere il governo. La partita ad ogni modo è ancora aperta, anche perché Ncd non sembra disposta ad accettare modifiche al testo attuale della delega. "I veti non ci bloccano" dice ancora Renzi che annuncia per domani la fiducia al Senato sul Jobs Act e dice di non temere agguati dal Pd. Ma la prova di forza spacca i Dem con i bersaniani verso il sì e Civati che annuncia che alcuni senatori potrebbero partecipere al voto. Civati chiede inoltre a Napolitano un richiamo al governo per un maggiore rispetto di ruoli e prerogative istituzionali e corretto uso degli strumenti normativi. No alla fiducia da M5S e Fi, Sel ritira molti emendamenti "per non dare alibi al governo".

Entro la settimana il premier intende incassare il via libera del Senato al Jobs act. Con un voto, se possibile, già mercoledì sera, quando a Milano, in qualità di presidente di turno dell'Ue, ospiterà i leader europei per una conferenza proprio sul lavoro.  Sul fronte parlamentare, l'ipotesi più forte sul tavolo, al termine di una nuova giornata di incontri e contatti tra il ministero del Lavoro, Palazzo Chigi e il Senato, è quella di presentare un maxiemendamento alla delega sul Lavoro che recepisca alcune delle modifiche contenute nel documento approvato una settimana fa dalla direzione Pd. Il testo non dovrebbe contenere però una indicazione dettagliata sull'articolo 18 e la questione del reintegro per i licenziamenti discriminatori e disciplinari. L'ipotesi è che sul punto specifico si pronunci il ministro Giuliano Poletti con una dichiarazione in Aula, rinviando poi ai decreti delegati per una disciplina puntuale. Il combinato disposto dell'emendamento e della dichiarazione consentirebbe, viene spiegato, di tenere insieme la maggioranza, in balia di un braccio di ferro tra i centristi guidati da Ncd, che puntano al superamento dell'art. 18 e chiedono che non si modifichi la delega del governo, e la minoranza del Pd, fortemente contraria. "L'art 18 è un totem ideologico, riguarda solo 2500 persone" ma "rischia anche di esser fonte di incertezza", ribadisce Renzi.

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