giovedì 28 aprile 2016
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ROMA L’unica risposta è «nei fatti». E i «fatti» sono, secondo Matteo Renzi, i provvedimenti sulla giustizia e le leggi anticorruzione. Sono, prosegue, «le dimissioni immediate di Graziano», il «nuovo stile» di un Pd in cui «si mettono insieme garantismo e valutazioni di opportunità politica, senza cedere ai populismi e valutando caso per caso». I fatti sono, insiste, «i miliardi per le regioni e le città del Sud, perché le mafie si vincono con lavoro e cultura». Fine delle comunicazioni. Le poche parole riservate che Renzi dedica al caso-Campania finiscono qui. E fanno il paio con quelle, pubbliche, del ministro Boschi: «Noi siamo quelli che hanno fatto arrestare Genovese, deputato del Pd che poi è passato a Fi appena uscito dal carcere, siamo quelli che hanno allungato la prescrizione per mafia e corruzione. Ma le indagini non sono condanne ». Probabile che oggi ci torni su, il premier. O meglio, che sia costretto a tornarci su dal 'Matteo risponde' programmato su Facebook. Appuntamento cui parteciperà anche Vincenzo De Luca, governatore campano. E la risposta della 'strana coppia' sarà netta: pulizia dentro il Pd - «chi sbaglia paga, ma lo decidono i giudici» -, anche dentro le liste campane - segnale che il presidente del Consiglio chiede ai suoi - e contrattacco verso M5S. «A Quarto sono scappati dopo un’inchiesta sul voto camorristico, a Livorno hanno un assessore indagato, in 3-4 città i sindaci sono stati messi ai margini del Movimento. Governano in meno di 20 comuni e hanno un tasso di problemi giudiziari molto superiore al nostro», sussurrano i renziani quasi a suggerire una linea difensiva. Ma non sarà certo questo a fermare Di Maio e Fico, le due 'stelle' campane del Movimento, che ieri sono andati giù durissimo durante la presentazione della lista pro Brambilla, il candidato a sindaco di Napoli: «I cittadini ci liberino di questo partito – dicono in coro –. È solo l’ennesimo scandalo, il Pd è il pericolo numero uno per il Paese». Il dato è che Renzi vorrebbe che il caso- Graziano restasse un fatto locale. La segretaria regionale, Assunta Tartaglione, annuncia un’assemblea campana il 5 maggio con il vice al Nazareno, Lorenzo Guerini. È la conferma che non deve diventare l’ennesimo ciclone giudiziario intorno a cui mettere in discussione la leadership del segretario. E quindi il premier, se ha provato fastidio, è più per alcune dichiarazioni della minoranza Pd che per i grillini. «Renzi intervenga con determinazione, prima che il Pd precipiti in un burrone politico e morale. Cos’altro deve ancora accadere?», ha tuonato l’ex sindaco di Napoli Antonio Bassolino, sconfitto tra le polemiche alle ultime primarie partenopee. Quelle di Bassolino sono le parole più rumorose. E seguono quelle, più diplomatiche, di Roberto Speranza, che invita la politica ad assumere «anticorpi ». L’istinto del premier sarebbe quello di rispondere per le rime, di ricordare agli esponenti della sinistra che sul territorio certe dinamiche non risalgono alla 'neonata' era renziana. Però a Palazzo Chigi poi prevale la voglia di non buttarla in rissa. Anche perché, è il ragionamento, molti di quelli che sollevano la «questione morale» in linea con il presidente dell’Anm Davigo cercano solo la via per smarcarsi in vista del referendum istituzionale. Ecco, il referendum. Chi «usa» le inchieste per attaccarlo mira a quello. Oltre che alle amministrative, va da sé. Ma se sul voto di giugno il profilo è già bassissimo perché comunque qualche sconfitta pesante è da mettere in conto, sulla consultazione di ottobre Renzi è convinto di spuntarla a prescindere da tutto e da tutti. «Siamo invasi da vostre richieste di partecipazione ai comitati – scrive il premier nella sua newsletter ai militanti –. La nostra campagna partirà dal basso, sarà innovativa e coinvolgente. Con il 'sì' si cambia, si risparmia, si velocizzano le leggi, si semplifica, si dà stabilità». È la risposta indiretta all’istanza morale lanciata da Bassolino. Ovvero: il Pd deve cambiare, è vero, ma non con chi l’ha portato a queste condizioni nel territorio. Piuttosto con gente davvero nuova, a partire dal referendum. E paradossalmente - sebbene amaramente - la magistratura potrebbe 'dare una mano', potrebbe aiutare il premier a far emergere una nuova classe dirigente senza ingaggiare lotte furiose con i 'capibastone'. Anche per questo, stavolta, a Palazzo Chigi nemmeno emerge l’ombra della 'giustizia a orologeria'. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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