martedì 11 novembre 2014
A Palazzo Chigi a tarda sera incontro con tutti i gruppi di maggioranza: accordo vicino su uno sbarramento al 4% e sui tempi dell’esame in Senato. Nel testo finale impegno anche su Jobs act e riforme istituzionali: alle urne dopo il referendum.
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«Entro Natale voglio la legge elettorale in Aula al Senato. Penso che ci possano stare tutti in un accordo di buon senso. Non voglio tagliare fuori la maggioranza di governo, non voglio chiudere le porte alla parte buona dei grillini, per me c’è ancora spazio anche per Berlusconi perché le regole del gioco si scrivono tutti insieme. Ma non mi fermo davanti ai veti, vado avanti e poi vediamo in Aula chi ci sta. Non si può rinviare all’infinito. Legge elettorale, jobs act, riforma costituzionale, delega fiscale: basta indugi, dobbiamo correre». Matteo Renzi ha preparato con cura le prime parole da dire nell’incontro politico più atteso eppure più strano della giornata, quello che avviene a tarda sera con tutti i gruppi parlamentari che sostengono il governo: ci sono il Pd, Alfano e l’Ncd, Cesa e l’Udc, Scelta civica, Per l’Italia, socialisti, Centro democratico, Autonomie, Led... Numeri degni di un pranzo di Natale, un "tavolo" di quelli che l’ex rottamatore, qualche settimana fa, avrebbe evitato.Anche se, in realtà, sono altri due i momenti clou della giornata: il faccia a faccia del mattino con Pier Ferdinando Casini e quello, successivo, con Angelino Alfano. È lì, a porte chiuse, che si è entrati nel merito della legge elettorale. Il fronte centrista-popolare ha retto, ha messo sul tappeto 80 voti decisivi per qualsiasi scenario. E ha strappato al premier una promessa: «Se la soglia del 5 per cento è troppo alta si può ragionare...», sono le parole di Renzi che il ministro dell’Interno ha riportato ai suoi come un trofeo. Si parla di un ribasso verso il 4 per cento, massimo il 3,5, per contemperare l’effetto ultramaggioritario del premio dato alla lista («Un fatto storico»), dice il premier. Quanto alle preferenze, restano le due opzioni per andare incontro all’ex Cav: capolista bloccato o il 30 per cento eletti con listino. È in questi due incontri privati che viene definita la linea del vertice notturno, che poi culmina in un documento finale che, come punto fondamentale, fissa la volontà di andare al voto nel 2018 dopo il referendum sulle riforme - tranquillizzando dunque tutti, anche Berlusconi - e di rispettare il cronoprogramma dei mille giorni.Il Patto del Nazareno dunque trema ma non è ancora del tutto archiviato. Per domani sera il premier ha convocato una direzione Pd che, a partire dall’Italicum, ha a tema l’intero programma di governo. Sino a un minuto prima, Berlusconi potrà riagganciarsi al treno. «Ci siamo sentiti, ha cambiato toni, domani ci rivedremo e vedrete che non si tirerà indietro, non ha senso», confida Renzi ai suoi. Alla luce delle imprevedibili evoluzioni, potrebbe perciò saltare l’incardinamento del testo nella commissione Affari istituzionali del Senato, previsto oggi. Qualche giorno di rinvio per definire gli accordi e provare per l’ultima volta ad allargarli a Forza Italia.I numeri che si coagulano intorno alla legge elettorale valgono anche in proiezione futura, sono come il pilastro su cui poi si poggerà la difficile sostituzione - a inizio gennaio - di Napolitano al Colle. Il clima in Parlamento è a dir poco rovente. Il totonomine è già iniziato. Da tutti i fronti affilano le armi per regolare vecchi conti interni. Non c’è aria che il premier possa lasciare in pasto al Parlamento un suo fedelissimo. I fittiani, la minoranza Pd e i conflitti interni agli M5S danno materiale in abbondanza per pensare ad elezioni tribolate. Né al premier né a Berlusconi conviene ora separare le proprie strade, gli esiti sarebbero imprevedibili: sarà questo il tema dell’ultimo incontro tra i due di domani pomeriggio.
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