mercoledì 2 novembre 2016
Premier e consorte alla Messa del vescovo Boccardo. Le parole ai fedeli dell’arcivescovo di Spoleto: «Sappiamo vivere bene e agire bene in questo momento di disorientamento»
Renzi a sorpresa va a Preci «Nessuna deportazione»
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«Don Renato, se l’1 novembre vai tra i terremotati, ti raggiungo. Viene anche Agnese». Così il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha telefonato due giorni fa all’arcivescovo di Spoleto, monsignor Renato Boccardo. Si conoscono da tanti anni, ambiente scout. Boccardo ha battezzato i figli del premier e si sentono spesso, ancor di più dopo l’interminabile serie di scosse. Così ieri alle 15 Renzi con la moglie ha partecipato alla messa per la festivita di Tutti i Santi a Preci, uno dei comuni più danneggiati dell’Umbria. Messa all’aperto davanti alla chiesetta della Madonna della Peschiera, gravemente lesionata. Momento di raccoglimento ma anche di incontro tra i cittadini provati dalle continue scosse e il capo del governo.

Ma anche convinti di restare. Se ne fa interprete il parroco don Luciano che all’inizio della messa si rivolge direttamente a Renzi: «Amiamo questa terra di un amore tenace, se diventasse una landa desolata sarebbe terribile. Se vogliono restare lasciateli restare. Siamo capaci di stare qui. Dateci questa possibilità, fidatevi. Se restiamo la vita continua, se andiamo via la vita muore». E il premier non si tira indietro. «È comprensibile che chiediate di restare. Nessuno del resto immagina una deportazione. Cercheremo di trovare una soluzione coinvolgendo i sindaci. Il nostro obiettivo è quello di fare le cose insieme». L’obiettivo, spiega, «è studiare dei moduli che possano essere messi subito».

Parole che provano a rassicurare, come quelle del vescovo che ha dedicato tutta la giornata alle popolazioni colpite dal sisma. La prima tappa è a Cascia. Messa anche qui all’aperto, nel grande piazzale che ospita uomini, tende e mezzi del sistema di protezione civile. Un scossa, l’ennesima, accoglie l’inizio della celebrazione. «È un momento difficile – si rivolge monsignor Boccardo ai fedeli – che non solo scuote i muri, ma anche la nostra vita. Ci sentiamo così piccoli e fragili e ci viene spontaneo gridare 'Signore salvaci!', come gli apostoli sul lago di Tiberiade». Ma, come dice il canto di apertura della Messa, 'non abbiate paura'. Restano però le domande. «Che cosa ci vuol dire il Signore con questa prova? - chiede il vescovo - Non è Dio che manda il terremoto, lui vuole la nostra felicità, non la sofferenza. Ma allora cosa ci insegna questo tempo che stiamo vivendo?». La risposta lega terremoto e Vangelo. «Ci affanniamo per accumulare e poi una scossa porta via tutto – riflette Boccardo –. E allora per cosa dobbiamo impegnare la nostra vita? Cosa lasciamo dopo di noi? Se lasciassimo solo i palazzi che non crollano e non il vero senso della vita a cosa sarebbe servito?».

Ed ecco allora la citazione delle Beatitudini. «Sappiamo vivere così, sappiamo vivere bene e agire bene in questo momento di disorientamento. Chiediamo a Santa Rita e a tutti i nostri Santi l’aiuto perché questo momento diventi scuola di vita ». Anche perché «non siamo soli» e ricorda tutta la solidarietà che si è espressa in questi giorni. «Piccoli e grandi gesti che ci invitano a guardare avanti con speranza. Vale la pena, questa bella terra merita il lavoro della sua gente. Diamoci una mano tutti insieme». C’è forza ma anche tanta emozione tra i cittadini che partecipano alla Messa. Come nel momento della preghiera dei fedeli. «Signore Gesù, le calamità naturali ci ricordano che non siamo noi ad avere il potere sulle cose, che basta poco perché tutto ciò che abbiamo costruito possa cadere e disfarsi. Aiutaci ad affrontare questi momenti così difficili in cui le nostre capacità razionali e di controllo sembrano abbandonarci».

La giovane signora che legge la preghiera si commuove, si asciuga gli occhi col fazzoletto. Si chiama Alessandra e lavora al monastero di Santa Chiara. «Domani – ci spiega la sua commozione – ci sarà l’evacuazione delle suore. È un pezzo della mia vita che se ne va. Speriamo tornino presto. Io non ho più niente. Non ho più la casa, non ho vestiti. Non ho fatto in tempo a portare via nulla». Ma ora è qui, ad affidarsi a Dio, come i cittadini di Preci che attendono il loro Pastore. E allora su per le montagne, schivano massi e nuove frane, tra case isolate collassate e paesi devastati: Norcia, Campi, Ancarano. Ecco la splendida chiesetta romanica di San Salvatore, uno dei simboli di questa serie di terremoti, sempre più sbriciolata dalle ultime scosse. Ed ecco Preci, dove svetta ancora il campanile miracolosamente quasi intatto. «Ma che impressione le campane che suonavano da sole domenica mattina!», ci dice un anziano.

«Ho pensato: ora casca e invece eccolo ancora. È un segno di speranza ». È quella che fa tenere duro questa gente, che rafforza la decisione di restare. È quello che ripetono tutti a Renzi che arriva accompagnato dalla moglie Agnese, accolto dalla presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini, dal sindaco, Pietro Emili, dal capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, dal commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani. Ma la visita è davvero in forma privata, come spiega lo stesso premier. «Sono venuto per ascoltare la Messa insieme a mia moglie, per portare un messaggio di condivisione, come tutti gli italiani normali, che sono vicini ai connazionali colpiti dal terremoto». Così si siede tra loro ascolta. Stringe mani a lungo. Soprattutto degli anziani. Come un nipote coi nonni. «Tutti i giorni senti che la terra bolle», si sfoga una donna angosciata. «Abbiamo bisogno del pane. Il panificio è danneggiato. Aiutatelo a rimetterlo a posto in fretta », chiede un’altra donna. Renzi si informa, chiama il sindaco. C’è chi è preoccupato per il lavoro, chi per la casa. Ma è soprattutto la richiesta corale «aiutateci a restare qua, non portateci via». Un signore, faccia e mani da contadino, abbraccia forte Renzi tra le lacrime. «Vi assicuro che tutto quello che serve lo avrete». Poi aggiunge: «È un miracolo che non è morto nessuno».

Ma poi lo spiega e sono parole di elogio. «Meno male che siamo in una realtà che comunque era stata ricostruita bene. Altrimenti conteremmo i morti». E rassicura sul futuro. «È una sfida affatto facile. Ci vorrà tempo ma ce la faremo, non c’è la bacchetta magica ma ce la faremo. Tutti insieme, nessuno escluso». Poi una visita al centro gestito dalla Caritas che ospita alcuni sfollati, da Emilia 103 anni a Viola, l’ultima arrivata, appena due mesi, proprio quelli di questa lunga scia di terremoti. E la faglia si fa di nuovo sentire. Accompagnata da un cupo rombo arriva una nuova scossa, sale dalla terra e ti invade. Un ultimo abbraccio tra don Renato e Matteo. Con l’impegno a restare in contatto. E siamo di nuovo in auto. Si scende per la valle. Nuovi impegni attendono il vescovo. Ecco Visso e poi l’enorme frana che ha ostruito il fiume, ma anche nuovi massi effetto delle ultime scosse. «La terribile bestia», come l’ha chiamata don Luciano, ancora non si è placata.

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