giovedì 2 aprile 2020
Emerge la mobilitazione nella rete ecclesiale di supporto a chi vive con disabilità e alle famiglie. Parla la responsabile del Servizio suor Veronica Donatello
suor Veronica Donatello

suor Veronica Donatello - archivio Avvenire

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Una «Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo» in tono minore, quella di oggi, ma solo per l’aspetto pubblico. S’impone infatti più che mai il tema delle persone affette da autismo e del loro confinamento in case che gli vanno strette, privati di routine vitali, senza servizi e presenze che aiutano le famiglie in una quotidianità complessa. Più voci si sono levate per concedere qualche piccola libertà in più. Un appello raccolto da alcune istituzioni locali, che attende di essere fatto proprio da altri. La Chiesa italiana, intanto, sta facendo la sua parte. Ecco come.

Vivere con persone autistiche è una fatica che in tempi di reclusione forzata può diventare insostenibile: il loro mondo fatto di abitudini, spazi e regole è stato alterato in modo che gli risulta indecifrabile e che perciò diventa motivo di tensione. Chi aiuta queste persone dall’equilibrio fragile? Chi ha a cuore le loro famiglie, ora che ognuno pare debba badare anzitutto a se stesso e ai propri cari? Molti, moltissimi. E se si vuole dare un volto a questo esercito del bene che s’ingegna per ammortizzare il trauma della quarantena agli autistici e a tutte le espressioni della disabilità, non si sbaglia ricorrendo a suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale delle persone disabili, volto reso popolare dalla sua traduzione di momenti liturgici e spirituali su Tv2000 nella lingua dei segni, come nella preghiera del Papa venerdì scorso in piazza San Pietro.

«Alle persone autistiche – spiega – sono venuti meno i riferimenti abituali e anche i contatti con tutte le solite persone al di fuori dei familiari. Un mese di cambiamenti e limitazioni è già stato pesante, il secondo si annuncia ancor più impegnativo». Ma nel caso dell’autismo, come per tutti i disabili, «ho visto attivarsi una catena di sostegno generoso di straordinaria bellezza, persone che stanno tirando fuori il meglio, volontari, vicini, ragazzi, e tanti sacerdoti con un cuore e una fantasia che commuovono e incoraggiano. Ne usciremo migliori, proprio grazie a tutto quello che silenziosamente si sta mobilitando accanto ai più fragili».

Suor Veronica non parla in astratto: ogni giorno ascolta la rete ecclesiale di referenti locali del Servizio, i responsabili diocesani, le associazioni, «sono dentro non so più quanti gruppi... ». È diventata a tal punto nota la capacità di questo network informale, capillare e discreto di risolvere problemi anche spiccioli che il Servizio Cei è ora interlocutore di chi a Palazzo Chigi coordina le politiche per la disabilità.

«Ci segnalano i casi locali dei quali occorre prendersi cura per segnalazioni che giungono e che ci vengono girate. Noi ci attiviamo, e prendiamo in carico quella specifica situazione di disagio attivando persone capaci di far sperimentare che nessuno è solo».

Al Servizio Cei non arrivano solo le 'grane': «In realtà emerge come i disabili in molti casi si stiano rivelando una risorsa per le loro famiglie, un grande conforto, e non solo un problema ». Emergono «i doni di cui ciascuno è portatore». E sopra tutto si palesa la ricchezza di una «rete di relazioni tra le persone che sta aiutando le famiglie con disabilità in casa a organizzare la vita in modo nuovo, dando una mano nel caso degli autistici a creare routine adatte alla quarantena».

Le stesse proposte di catechesi e di preghiera vengono ricalibrate sulle esigenze della distanza forzata per rinsaldare legami rendendoli anche più significativi: «Abbiamo realizzato sussidi per aiutare famiglie con disabili a pregare insieme. È un tempo che ci è dato e che dobbiamo attraversare fino in fondo, ma ora sappiamo di poterlo fare anche nelle situazioni più dure contando su qualcun altro. E se questo ancora non avviene, la Chiesa italiana è qui, pronta a fare il possibile, nel rispetto di tutte le misure in vigore».

Nell’impegno che vede profondersi suor Donatello scorge un segno, che si manifesta proprio attorno ai disabili: «Si diventa prossimi degli altri in modo nuovo, mettendo in circolo disponibilità insperate. Se c’è una cosa che stiamo scoprendo è che i nostri diritti possono fare un passo indietro perché vediamo che siamo tutti bisognosi di qualcun altro».

A ben vedere, è la chiave di volta di una società a misura di disabile, e se la società tutta intera sta imparando la lezione potremmo veramente uscire da questa durissima prova – che ha i contorni della tragedia – avendo salito più di un gradino «nella nostra consapevolezza di comunità nazionale, e anche ecclesiale».

Cosa sta insegnando l’emergenza? «È un tempo di speranza. Impariamo un modo nuovo di relazionarci con gli altri prendendocene cura, come custodi del prossimo. E anche l’essenzialità, sapendo fare a meno di tanto ma riconoscendo quel che conta e che resta, come ci ha detto il Papa venerdì scorso. A noi che cominciamo a intuirlo è affidata la responsabilità di essere sentinelle del tempo nuovo che arriva».

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