mercoledì 6 aprile 2016
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Apoche ore dall’incontro tra i magistrati egiziani e quelli italiani sul caso Regeni torna a crescere la tensione tra Roma e Il Cairo. L’Italia «pretende» la verità sulla morte di Giulio altrimenti il governo è pronto a mettere in atto misure «proporzionate e adeguate» nei confronti del-l’Egitto, ha detto il capo della Farnesina, Paolo Gentiloni, in Parlamento. «Ci fermeremo solo davanti alla verità vera perché lo dobbiamo a Giulio, alla sua famiglia e a tutti noi», gli ha fatto eco il premier Matteo Renzi. Immediata la reazione del ministero degli Esteri egiziano. Gli avvertimenti dell’Italia «complicano la situazione in quanto arrivano un giorno prima dell’arrivo a Roma degli investigatori egiziani», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri Ahmed Abu Zeid. Mentre il presidente Abdel Fatah al-Sisi, pur garantendo la «piena collaborazione e assoluta trasparenza» per «superare con saggezza questi incidenti individuali», ha messo sul piatto anche la richiesta di verità sulla scomparsa di un suo connazionale, Adel Meawwad Heikal, in Italia dall’ottobre 2015. Prima al Senato e poi alla Camera il capo della diplomazia italiana Paolo Gentiloni aveva mandato un messaggio chiaro al Cairo: «Basta verità di comodo o il governo reagirà». «La ragione di Stato ci impone di difendere fino in fondo e nei confronti di chiunque la memoria di Giulio Regeni – ha proseguito il ministro – nel cui barbaro assassinio la madre ha visto palesarsi “il male del mondo”. È dunque per ragione di Stato che pretendiamo verità, è per ragione di Stato che non accetteremo verità fabbricate ad arte. È per ragione di Stato che non ci rassegneremo all’oblio su questa vicenda ed è soprattutto per ragione di Stato che non accetteremo che venga calpestata la dignità del nostro Paese». Dunque, se non ci sarà un cambio di marcia da parte delle autorità egiziane «il governo è pronto a reagire con misure proporzionali». La partita diplomatica, adesso, è sospesa fino al confronto tra inquirenti a Roma. La delegazione di inquirenti egiziani, guidata dal sostituto procuratore generale egiziano, Mustafa Soliman, arriverà stasera. Secondo quanto riferito in questi giorni dai media del Cairo, sarebbe diviso in almeno tre parti il dossier di oltre 2000 pagine contenente gli interrogatori di circa 200 testimoni sul caso dell’omicidio di Giulio Regeni. Gentiloni guarda con fiducia ai contatti tra i magistrati italiani e gli inquirenti egiziani e premette che l’incontro «potrebbe essere decisivo» per lo sviluppo delle indagini. A oggi, ha sottolineato, i dossier degli inquirenti egiziani sono stati «carenti» e i documenti consegnati il mese scorso alle autorità giudiziarie italiane «mancavano almeno di due dei cinque capitoli richiesti», a cominciare dalle richieste dei magistrati italiani sul traffico telefonico degli ultimi giorni del giovane ricercatore, fino ai video della metropolitana del Cairo dove potrebbe essere accaduto il sequestro. Le autorità egiziane intanto hanno tentato di chiudere, per la seconda volta in pochi mesi, la principale ong del Paese che si occupa delle vittime di tortura. Ma i medici dell’organizzazione si sono opposti, sostenendo che il loro lavoro è vitale in un Paese dove la tortura è diffusa. Aida Seif al Dawla, psichiatra e fondatore del Nadeem Center, nel centro del Cairo, ha detto che i poliziotti sono arrivati negli uffici con l’intento di chiuderlo e si sono rifiutati di mostrare un documento ufficiale. Anche a febbraio la polizia aveva tentato di chiudere il centro. Ai dipendenti del Centro è stato detto che l’ordine di chiusura arrivava non dal ministero della Salute, ma «dal livello più alto» del governo del presidente Abdel Fattah al Sisi. La maggior parte dei pazienti curati nel centro denunciano di essere stati torturati dalla polizia o dalle forze di sicurezza. Le organizzazioni per i diritti umani, come Amnesty International e Human Rights Watch, hanno condannato i tentativi di chiusura. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni
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