martedì 5 aprile 2016
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Spunta la cancellazione, poi la smentita. «Il vertice ci sarà domani» Per la verità – o un principio di verità – sulla morte di Giulio Regeni bisogna ancora attendere. Ma forse il rinvio sarà solo di un giorno. Per tutta la giornata infatti si è parlato di uno slittamento di due giorni, da oggi a giovedì e venerdì, per i previsti incontri tra magistrati e investigatori egiziani ed italiani. L’ultima novità in serata: la delegazione del Cairo sarà a Roma domani per fare il punto della situazione sulle indagini svolte dalle autorità egiziane ed esaminare la documentazione relativa all’omicidio del ricercatore. Ieri si è sfiorato un nuovo caso diplomatico, dopo che un’agenzia Reuters ha riferito di una cancellazione del viaggio a Roma da parte degli inquirenti egiziani. Immediata la precisazione di fonti dell’ambasciata italiana al Cairo che, in contatto con le autorità egiziane, si sono affrettate a confermare invece il vertice. Sul tavolo c’è un dossier di 2mila pagine, con oltre 200 testimonianze, e sui cui contenuti i media del Cairo si sono sbizzarriti nelle ultime ore con anticipazioni e indiscrezioni di ogni tipo. Ancora ieri, sui giornali e nelle tv locali, non s’è parlato d’altro: dibattiti, editoriali, ricostruzioni. Persino la notizia della richiesta, da parte della procura di Roma, che della delegazione egiziana in partenza per l’Italia facessero parte 14 persone, tra le quali il consigliere del presidente per la sicurezza nazionale Fayza Aboul Naga. Notizia immediatamente smentita da Roma. Unica certezza, per ora, è che nella Capitale arriveranno tre ufficiali di polizia egiziana (il generale Adel Gaffar e il brigadiere generale Alaa Abdel Megid dei servizi centrali della polizia egiziana, e il vice direttore della polizia criminale del governatorato di Giza, maggiore Mostafa Meabed) e due magistrati (i procuratori del Cairo Mostafa Soliman e Mohamed Hamdy El Sayed). Ad accoglierli i massimi dirigenti del Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia e del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dei Carabinieri, oltre al procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il pm Sergio Colaiocco. L’incontro rimane decisivo: la nostra Procura attende da settimane i materiali dell’inchiesta promessi e mai spediti dall’autorità giudiziaria del Cairo. Mancano all’appello i dati delle celle telefoniche, oltre che i video delle telecamere di sorveglianza di metropolitane e negozi del quartiere nel quale Giulio viveva. I magistrati hanno fatto, in più occasioni, esplicita richiesta di questi materiali. I documenti inviati fino a oggi dal Cairo, invece, contengono informazioni sommarie e carenti anche sui verbali delle testimonianze raccolte dagli inquirenti egiziani. Secondo le indiscrezioni trapelate proprio dall’Egitto nei faldoni che le autorità egiziane consegneranno all’Italia dovrebbero esserci invece numerose informazioni utili alla ricostruzione delle ultime ore della vita di Giulio. Prima fra tutte, il fatto che il giovane fosse seguito e controllato dagli 007 per le sue attività di indagine e ricerca nel campo dei diritti del lavoro e dei sindacati locali. Per quanto riguarda invece la “pista” della banda di rapinatori che avrebbero ucciso Giulio, e nelle cui borse sarebbero stati ritrovati i suoi documenti e oggetti personali, è stato lo stesso governo egiziano a fare retromarcia domenica: il portavoce del ministero dell’Interno, generale Abu Bakr Abdel Karim, ha detto che il dicastero «non è certo che Regeni sia stato ucciso da una banda specializzata nelle rapine agli stranieri. La ricerca dei responsabili è ancora in corso», ha concluso Abu Bakr, confermando che le autorità egiziane «non hanno mai chiuso il caso, al contrario di quello che pensa qualcuno». Un appello a fare chiarezza una volta per tutte sulla vicenda, per evitare «pesanti ricadute sui rapporti bilaterali tra Italia ed Egitto», è arrivato ieri allo stesso governo dal direttore del maggior quotidiano del Cairo, Al Ahram, Mohamed Abdel Hadi Allam: «Prima del momento della verità – scrive Hadi Allam – esortiamo lo Stato a portare in giudizio gli autori del crimine». In gioco, conclude il direttore, c’è «la reputazione dell’Egitto». Viviana Daloiso Giulio Regeni
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