martedì 13 settembre 2016
​L'ambasciatore Usa Phillips: se vincesse il no l'Italia farebbe un grosso passo indietro. Il centrodestra insorge e Di Maio (M5S) attacca il premier Renzi: è come Pinochet.
Referendum costituzionale, clima infuocato
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​Se al referendum sulle riforme vincesse il no l'Italia farebbe "un grosso passo indietro". Parole che pesano,quelle dell'ambasciatore Usa in Italia, John Phillips. Un endorsement che agita ancora di più il già serrato confronto politico. Perché se secondo Philips "quello che serve all'Italia è la stabilità e le riforme assicurano stabilità, per questo il referendum apre una speranza", Forza Italia parte a testa bassa e liquida le parole dell'ambasciatore Usa come "un'ingerenza inaccettabile". "Chiediamo una parola in merito da parte del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e da parte del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che fino a prova contraria è il premier di tutti gli italiani e che quindi ha il dovere di garantire, a livello internazionale, l'onorabilità e la libertà del Paese e dei loro cittadini", tuona.
Nel corso di un convegno del Centro di studi americani, Phillips ha aggiunto che "molti Ceo di grandi imprese Usa guardano con grande interesse al referendum", per capire quale sarà il contesto italiano per il loro investimenti e ha spiegato che proprio per questo la vittoria del sì "sarebbe una speranza per l'Italia, mentre se vincesse il no sarebbe un passo indietro". "Il tema della governance è quello che stiamo affrontando con le riforme: semplificare, rendere il Paese più facile, ridurre i costi della politica per rendere il Paese più semplice", conferma, da Milano, Matteo Renzi."Il signor ambasciatore Usa si faccia gli affari tuoi e non interferisca, come troppe volte è già accaduto in passato, nelle vicende interne italiane", controbatte Matteo Salvini.
Toni non dissimili, nella sostanza, da Sinistra Italiana: "Dopo Marchionne, residente in Svizzera, oggi arriva anche il Sì dell'ambasciatore statunitense nel nostro Paese. Tutto naturalmente per l'interesse degli italiani", ironizza da Twitter Nicola Fratoianni, dell'esecutivo nazionale di Sinistra Italiana partito che ha presentato alla Camera una mozione sull'Italicum che però, ricorda Laura Boldrini, non è all'ordine del giorno della Capigruppo di domani. Ma a sparare ad alzo zero sul premier è ancora una volta il M5s con il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio.
Renzi "non è un Presidente del Consiglio ma il più grande provocatore del popolo italiano, un Presidente non eletto, senza alcuna legittimazione popolare, che sorride mentre le persone soffrono - scrive su Facebook -. Il referendum di ottobre, novembre o dicembre (ci faccia sapere la data, quando gli farà comodo) lui stesso lo sta facendo diventare un voto sul suo personaggio che ha occupato con arroganza la cosa pubblica, come ai tempi di Pinochet in Cile. E sappiamo come è finita". Immediata la levata di scudi da parte del Pd che accusa Di Maio di fare paragoni assurdi e di tentare con queste accuse di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica sul caso Raggi che lo vede coinvolto in prima persona.
Anche il mondo economico intanto guarda ai possibili scenari del dopo-referendum. "Ogni turbolenza politica o problemi nel settore bancario che si possano ripercuotere sull'economia reale o sul debito pubblico, potrebbe portare a un intervento negativo sul rating dell'Italia. Lo ha affermato il responsabile rating sovrani per Europa Medio Oriente di Fitch, Edward Parker, a una conferenza a Londra, secondo quanto riferisce Bloomberg."Se ci fosse un voto no, lo vedremmo come uno shock negativo per l'economia e il merito di credito italiano", ha dichiarato.

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