giovedì 19 settembre 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Sgradevole, sopra le righe, comprensibile solo fino ad un certo punto. Enrico Letta non fa nulla per nascondere il suo disappunto sui toni e i contenuti usati dal Cavaliere verso la magistratura. Eppure, per natura e buon senso, non rilascia alcun commento, non si lascia trascinare sul ring e guarda solo e unicamente alla sostanza: l’impegno dei ministri al momento è confermato, la decadenza sarà accettata benché tra grida e strepiti. Insomma: il governo va avanti e lui, dopo i due Cdm di oggi e domani, parte per il Nord America come da programma.Nel momento in cui Skytg e Tgcom lanciano il video integrale, Letta è al Quirinale per il giuramento di Giuliano Amato come giudice costituzionale. Napolitano è lì, ad un palmo di mano. L’eco delle parole del Cavaliere arriva inevitabilmente nella sala, ma non scuote l’ambiente. Tutto come previsto, niente di nuovo sotto il sole. L’impressione del premier e del capo dello Stato è che si tratti di un colpo di coda a fronte di un finale già scritto, come ce ne sono stati e ce ne saranno ancora tanti. Ma nulla di trascendentale o di drammatico. Anzi, sembra confermato il percorso "naturale" del caso-Berlusconi, che passa per la decadenza e poi per le dimissioni del Cav prima del voto finale in Senato.Nemmeno il Colle, dunque, commenta questo atteso passaggio politico. O meglio, lo fa di striscio. Nella nota in cui condanna gli attacchi di M5S alla presidente della Camera Laura Boldrini, ne approfitta per ricordare che «è in atto una fase altamente impegnativa dell’attività parlamentare, che prevede l’esame di problemi e di provvedimenti di vitale importanza economica e sociale e nello stesso tempo lo sviluppo di un programma di riforme istituzionali». Un momento cruciale, dunque, che non ammette strappi.Se c’è però un punto su cui Letta è amareggiato, è il permanere di un’ambiguità di fondo circa l’atteggiamento del Pdl verso l’esecutivo. «Enrico vuole segnali di stabilità veri e duraturi. Se hanno intenzione di fare guerriglia su ogni provvedimento economico, lui ne trarrà le conseguenze prima», dicono i parlamentari della sua area. E da Palazzo Chigi confermano: «La legge di stabilità sarà il vero test. Se ci permetteranno di fare la nostra politica economica bene, altrimenti...».Il timore di Letta, dunque, è che la mezza "fiducia" di Berlusconi si trasformi in una sorta di ricatto permanente. A partire dall’Iva. E invece per gli ultimi tre mesi del 2013 non c’è spazio per miracoli, dicono dallo staff del premier. Nel 2014, invece, si potrà giungere ad una rimodulazione nel segno dell’equità. «Il presidente del Consiglio non metterà in discussione il rispetto dei patti Ue», è l’avvertimento. Né consentirà che una strisciante campagna elettorale sul fisco, dal carattere anche un filo demagogico, metta a repentaglio le misure sul costo del lavoro. «Accetto la sfida sulle tasse, mi va bene che l’attenzione si sposti dalle vicende personali di Berlusconi alle politiche concrete, ma appena capirò che cercano pretesti per rompere ne trarrò le conseguenze», ribadisce in serata. Dunque il 15 ottobre, data di definizione del ddl-stabilità da parte del governo, diventa una sorta di deadline entro la quale Letta capirà se davvero può reggere sino a fine 2014.Lungo la giornata a Palazzo Chigi c’è un continuo via vai di ministri. Anche quelli del Pdl entrano ed escono dalla sede del governo. Il motivo ufficiale sono i tanti vertici per cominciare a scrivere la legge di stabilità. Ma quando ci si incrocia, si parla ovviamente di politica e di Berlusconi. I dialoghi privati tra chi rappresenta il Pdl nell’esecutivo sono intensi e preoccupati. Ascoltando e riascoltando il videomessaggio, la sensazione è che «il Cav ci abbia dato tre mesi di tempo» per raggiungere alcuni obiettivi economici obiettivamente difficili da afferrare, spiega un ministro. È come se Berlusconi abbia scaricato su di loro tutte le responsabilità di governo, separando la loro strada dalla nuova Forza Italia. «Se non si abbasseranno le tasse, la colpa sarà nostra e non sua», è la tesi che azzardano le colombe del partito. Ma tutto sommato tre mesi sono lunghi. Sia per raddrizzare la rotta della maggioranza sia per organizzare meglio il fronte di chi, nel Pdl, non vuole la crisi.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: