giovedì 12 marzo 2015
Oggi esame al progetto di Renzi: un ad forte scelto dal governo.
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La Rai? «Non servono architetture barocche o la creazione di qualche sofisticata ingegneria che complichi ancora di più le cose. Serve una guida manageriale vera». Palazzo Chigi si schiera per una riforma 'aziendalista' della Rai che «non è una municipalizzata di provincia ma la prima industria culturale e non può sottostare a procedure cavillose o avere l’incubo della Corte dei Conti». Alla vigilia del Consiglio dei ministri che oggi esaminerà un documento strategico sulla riforma del servizio pubblico (non dovrebbe essere varato per ora un vero e proprio provvedimento) fonti parlamentari fanno trapelare le intenzioni di Matteo Renzi. Messe nero su bianco con la scelta di un modello di governance ben preciso: non il sistema duale di cui si è parlato alla vigilia ma l’ipotesi di un’azienda guidata da un amministratore delegato e da un Cda. Secondo le indiscrezioni trapelate l’ipotesi è di un Consiglio di sette membri: tre nominati dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’Economia, altri 3 dalle Camere e uno in rappresentanza dei dipendenti della Rai. L’ad sarebbe scelto tra i nomi espressi dal governo.  Se il progetto non cambierà la commissione parlamentare di Vigilanza non avrà quindi più poteri di nomina ma resterà come  watchdog del servizio pubblico, cioè con funzioni di controllo. La novità più importante è l’arrivo in Viale Mazzini di un vero capo azienda, un amministratore delegato con poteri più ampi dell’attuale Direttore generale. Una ridefinizione del servizio pubblico per renderlo, si spiega nel documento attribuito a Palazzo Chigi, «la più innovativa azienda culturale italiana e riscoprire quel ruolo divulgativo che ne ha segnato il suo primo vero successo». Perché la Rai «ha raccontato e costruito l’identità culturale e sociale del nostro Paese, ma con gli anni la morsa della burocrazia e dei partiti ha ridotto fortemente la sua capacità di competere, soprattutto a livello internazionale, indebolendo l’azienda». Con la legge Gasparri, si afferma ancora, si è «condannata la Rai a subire spaccature e rissosità del Parlamento».  Dopo la riunione di martedì con parlamentari dem, nella quale sono state discusse le diverse opzioni messe a punto dal sottosegretario Antonello Giacomelli, ieri Renzi ha rotto gli indugi. E la strada di una sistema duale per la tv pubblica, con un Consiglio di sorveglianza di dieci membri e uno di gestione più snello, pare essere tramontata. Un’architettura giudicato troppo «barocca». Ma era quello il modello che raccoglieva consensi nella sinistra Pd e sulla quale anche il Movimento 5 Stelle era pronto a dialogare. Mentre da Forza Italia è proprio Maurizio Gasparri a dire che «non si può passare dal pluralismo del Parlamento alla superlottizzazione arrogante di Renzi ». Oggi si capirà se esistono margini di mediazione.
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