giovedì 14 novembre 2013
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Il parere risolutivo, tanto per cambiare, è arrivato dal web. Riguarda Miley Cirus, 21 anni fra pochi giorni. Fino a non molto tempo fa era una divetta acqua e sapone di casa Disney, per quanto il personaggio che l’ha resa celebre, riletto con il senno di poi, qualche perplessità potrebbe destarla. Tra il 2006 e il 2011, infatti, Miley ha interpretato in tv l’immaginaria popstar Hannah Montana: diva sotto le luci della ribalta di sera e, di giorno, studentessa sotto mentite spoglie. Una ragazza dalla doppia vita, a voler semplificare un po’ brutalmente. Solo che in quel caso le vite erano entrambe, sia pur diversamente, immacolate. Adesso, invece, Miley Cirus si è messa in proprio, nel senso che una popstar lo è diventata davvero, solo che il suo stile non è esattamente quello di Hannah Montana. Linguacce, ancheggiamenti, allusioni sessuali sempre più aggressive. Sta distruggendo la sua carriera, lamentavano i fan. No, ha commentato un osservatore più smaliziato degli altri, ne sta costruendo una nuova.Aveva ragione, purtroppo. L’ultima bravata pervenuta risale a domenica scorsa, quando Miley si è accesa uno spinello durante la diretta televisiva da Amsterdam per la premiazione degli Mtv Ema Awards. Ma la notizia preoccupante, in fondo, non è neppure questa. È che la ragazza si trovava sul palco per ricevere il riconoscimento destinato al miglior video musicale: quello in cui lei appare completamente nuda, in contorsioni molto più che ammiccanti. La carriera sta ripartendo eccome, e sempre con il beneplacito del padre della ragazza, il cantante country Billy Ray Cirus.Indizio non da poco, quest’ultimo: se si vogliono capire le debolezze delle baby prostitute dei Parioli e delle altre loro coetanee, degli altri loro coetanei che mercificano la propria sessualità, bisogna avere il coraggio di prendere in esame il cinismo e, di nuovo, le debolezze degli adulti. Altrimenti è il panico morale (o, meglio, moralista), la generalizzazione indiscriminata, la lamentela contro l’adolescenza incomprensibile, priva di valori e incapace di comunicare. Come se non fosse compito degli adulti, appunto, testimoniare a favore di ciò che è giusto. Come se non spettasse a loro l’ostinazione del dialogo, l’autorevolezza di chi accoglie e capisce.Si dirà: le cattive ragazze sono sempre esistite. Vero, ma non rappresentavano un accettabile modello sociale. Vogliamo restare nel campo dell’immaginario televisivo e cinematografico? Nel 1978 la tredicenne Brooke Shields divenne famosa grazie a un film decisamente morboso, Pretty Baby. Sullo schermo impersonava una prostituta bambina, ma nella vita privata la sua condotta era irreprensibile. Se così non fosse stato, la carriera rischiava di precipitare: penali, contratti annullati, condanna dei media. Era il periodo che seguiva la burrascosa rivoluzione sessuale degli anni Sessanta e, con un qualche sforzo, si capiva già dove si sarebbe andati a parare. In Taxi Driver (1976) Robert De Niro era un consumatore abituale di pornografia, pronto però a trasformarsi in giustiziere per salvare una giovanissima Jodie Foster, che nel film era una quattordicenne molto fiera del potere conferitole dal suo status di prostituta. Provate a guardare le scene in cui appare il suo personaggio, confrontatele con i verbali delle baby squillo romane, poi cercate la differenza. Che non sta nelle parole delle ragazze, ma nel silenzio che oggi le circonda.Il punto è che le bad girls sono un affare per tutti, non soltanto per gli sfruttatori finiti sotto inchiesta. La spregiudicatezza fa tendenza, la disinvoltura è il nuovo bon ton. Difficile individuare una responsabilità univoca, ma il concorso di colpe si configura impressionante. Da una parte c’è il sistema della moda, che ha tutto l’interesse a depenalizzare la volgarità in provocazione. Dall’altra c’è una visione colpevolmente distorta dei rapporti fra generazioni. Basata, in buona sostanza, sulla cancellazione di ogni gerarchia. La cosiddetta “amortalità”, e cioè la pretesa di attraversare gran parte della vita in uno stato di gioventù posticcia, è infatti un fenomeno a doppia faccia. Si estende verso l’alto, nelle pratiche grottesche di quella che gli esperti definiscono “adultescenza” (i padri Peter Pan, le madri in maniacale concorrenza estetica con le figlie). Ma affonda le radici in basso, nella sessualizzazione precoce dell’infanzia. Peggio ancora, nel passaggio senza soluzione di continuità fra un’immagine angelicata del bambino, creatura talmente perfetta da rendere inutile il ricorso all’educazione, e la demonizzazione dell’adolescente, belva talmente indocile da rendere impossibile ogni tentativo di correzione.Nel frattempo è allegro susseguirsi di linguacce e nudità, con qualche aggiunta di cocaina e marijuana. Gli adulti, nel dubbio, distribuiscono premi.
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