martedì 23 luglio 2019
«Un ciclo si è chiuso, mutato approccio verso Autorità. Per toghe fase critica, non sarò spettatore»
Raffaele Cantone (Foto Ansa)

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«Dopo oltre cinque anni, sento che un ciclo si è definitivamente concluso, anche per il manifestarsi di un diverso approccio culturale nei confronti dell’Anac e del suo ruolo». Lo scrive Raffaele Cantone nella lettera con cui spiega la sua decisione di lasciare la presidenza dell’Autorità Nazionale Anticorruzione in anticipo rispetto al termine previsto e cioè, aprile 2020. Cantone, che ha sottolineato la sua ferma volontà di tornare in magistratura perché quest’ultima sta vivendo «un momento difficile», ha definito la sua una decisione «meditata e sofferta». Ma la magistratura, è sempre stata la sua «seconda casa», la toga la sua «seconda pelle», e ora, il fatto di assistere e non partecipare «al dibattito interno» viene vissuto come una «insopportabile limitazione» mentre Cantone non vuole essere uno «spettatore passivo».

Raffaele Cantone, pm di punta nella lotta alla camorra, sotto scorta dal 2003, lascia dopo oltre cinque anni la presidenza dell’Anac, annunciando il ritorno in magistratura. E non nasconde esplicite parole di amarezza in una lettera pubblicata sul sito dell’Autorità. Riflessioni che non sorprendono. L’ex pm se ne va rivendicando il lavoro svolto dall’Anac che, afferma, «rappresenta oggi un patrimonio del Paese. Sono circostanze che dovrebbero rappresentare motivo di orgoglio per l’Italia, invece sono spesso poco riconosciute come meriterebbero». E a chi, soprattutto nella maggioranza ha più volte criticato questo impegno, replica che «dal 2014 il nostro Paese ha compiuto grandi passi avanti nel campo della prevenzione della corruzione, tanto da essere divenuta un modello di riferimento all’estero». Riconosce che «la corruzione è tutt’altro che debellata ma sarebbe ingeneroso non prendere atto dei progressi, evidenziati anche dagli innumerevoli e nient’affatto scontati riconoscimenti ricevuti in questi anni dalle organizzazioni internazionali e dal significativo miglioramento nelle classifiche di settore».

Nella sua lettera Cantone parla del suo futuro, spiegando di aver fatto richiesta per rientrare in magistratura: intanto tornerà all’Ufficio del massimario presso la Corte di Cassazione, dove prestava servizio prima dell’incarico all’Anac, affidatogli dal governo Renzi. Ma avendo già fatto domanda mesi fa, è teoricamente possibile che Cantone passi nei prossimi mesi a capo della procura di Frosinone, di Torre Annunziata oppure di quella di Perugia, proprio quella che si occupa dell’inchiesta sulle "nomine", che ha scatenato una bufera al Csm e fatto slittare le scelte per queste e altre procure. «Nelle ultime settimane – scrive Cantone – le dolorose vicende da cui il Csm è stato investito hanno tuttavia comportato una dilazione dei tempi tale da rendere non più procrastinabile una decisione». Cioè le dimissioni non potevano più essere rinviate.

Cantone spiega di «aver comunicato nei giorni scorsi le mie intenzioni al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio dei ministri e a vari esponenti del Governo» e di aver ritenuto «opportuno annunciare pubblicamente e in assoluta trasparenza la determinazione che ho assunto. La mia è una decisione meditata e sofferta. Sono grato dell’eccezionale occasione che mi è stata concessa ma credo sia giusto rientrare in ruolo in un momento così difficile per la vita della magistratura». E, con una similitudine presa dal calcio (è tifosissimo del Napoli) afferma che «assistere a quanto sta accadendo, senza poter partecipare concretamente al dibattito interno mi appare una insopportabile limitazione, simile a quella di un giocatore costretto ad assistere dagli spalti a un incontro decisivo: la mia indole mi impedisce di restare uno spettatore passivo, ancorché partecipe».

Le dimissioni passeranno ora al vaglio del Csm e del prossimo plenum, previsto per settembre. Solo a quel punto, e a seguito della pubblicazione nel bollettino del Ministero della Giustizia, le dimissioni diventeranno effettive. Poi la palla passerà al presidente del Consiglio che dovrà avanzare la proposta di un nuovo nome - concordato con il Guardasigilli, il Viminale e il ministro della Pa - che dovrà essere poi ratificata a maggioranza qualificata da almeno due terzi dei componenti delle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato.

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