martedì 6 aprile 2010
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La scia di luce nel buio pungente segna il confine tra il prima e il dopo. Chi è qui non vuole dimenticare, non può, e sceglie di alzare la fiaccola della rinascita. L’Aquila rivive la notte del Ground zero un anno dopo, insieme, in mezzo alle strade del centro storico come dopo le 3.32. E a quell’ora tutto si ferma e ci si stringe intorno a piazza Duomo ricordando, scanditi dai rintocchi della campana, tutte le vittime del terremoto.Tra quel passato prossimo e il poi, c’è un mare. C’è un mare fatto di dolore composto, che riaffiora negli occhi lucidi della gente; un mare di amore e solidarietà che rivive nell’abbraccio della città intera in preghiera con i suoi pastori. Lo sguardo è rivolto verso «L’Aquila del futuro, la città che tutti sogniamo, che tutti vogliamo costruire con le nostre mani, ma soprattutto con la nostra fede». L’arcivescovo Giuseppe Molinari mostra anche lui, con profonda umanità, il prima e il poi, augurandosi che il terremoto sia davvero il limite tra il mondo vecchio deformato dall’egoismo e quello nuovo trasfigurato dall’amore. «Anch’io – dice – ho negli occhi il terrore e la mostruosità di un anno fa. Anch’io ricordo i volti impauriti e imploranti. Anch’io, in quel venerdì santo ho contato, piangendo, le bare dei nostri fratelli». Ma ora, come Pietro, Giovanni e Maria di Magdala, duemila anni fa, siamo invitati ad accorgerci che il sepolcro è vuoto, Gesù è risorto e questo, aggiunge, «è certezza di risurrezione per tutte le nostre persone che il sisma, in quella notte di passione, ci ha strappate. Per credere questo occorre la fede, tanta fede. Se manca, tutto diventa incomprensibile».In una basilica di Collemaggio che non riesce a contenere l’oceano di persone, in molti devono accontentarsi dei maxischermi esterni. Ma il muro tra il dentro e il fuori svanisce nella forza che il rimanere uniti in silenzio, ancora una volta, come ogni mese dal 6 aprile, spezza il respiro e stringe il cuore. I primi cristiani «stavano insieme e avevano ogni cosa in comune», anche adesso la comunità aquilana, nello stesso gelo di un anno fa avvolti non più dalle coperte ma dal calore della Vita vera, mette una nuova pietra alla sua ricostruzione. Il buio dello sconforto, stavolta, deve lasciar spazio alla luce della rinascita dell’Abruzzo; «Ce lo chiedono i nostri morti – continua il vescovo – ce lo chiedono i nostri ragazzi. Ce lo chiede la nostra coscienza. Ma, soprattutto, la nostra fede». Dal sacrificio di Gesù nasce una famiglia nuova, «una comunità capace di vere relazioni di amore, di autentica solidarietà costruttiva», sottolinea Molinari. Così, davanti ai parenti delle vittime, alle istituzioni nazionali in prima fila insieme al capo della Protezione civile Guido Bertolaso e a un Paese unito nel ricordo, l’arcivescovo esprime un desiderio. «Anche dalla nostra immensa tragedia il Signore della vita, il Dio della Speranza – dice – possa far nascere un popolo nuovo, uomini e donne capaci di riconoscere ciò che è vero, giusto e buono, il vero bene di tutti».
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